Food :: 16 ott 2017

Vini sardi “tre bicchieri” e denominazioni da cambiare:

chiacchierata con Giuseppe Carrus

Parliamo con Giuseppe Carrus (1), responsabile nazionale della Guida dei vini d’Italia del Gambero Rosso, del panorama sardo dei vini, quale emerge dalla Guida 2018 (2). A molti wine writer sembra che il vino sardo goda di ottima salute, negli ultimi anni l’Isola sta collezionando premi e riconoscimenti importanti, e molti giovani hanno aperto cantine artigiane e re-impiantato piccoli vigneti. Gli chiediamo anche qualcosa sulla idea che sta portando avanti da tempo, di cambiare le denominazioni di alcuni vini, privilegiando il territorio sul vitigno.

La Sardegna ha avuto, come lo scorso anno, correggimi se sbaglio, 12 vini con i “tre bicchieri”, che nella classifica della Guida dei vini del Gambero Rosso è il massimo riconoscimento.

Carrus: Sì, 12 vini hanno avuto tre bicchieri e viene rappresentata la Sardegna intera, nelle sue diversità aziendali; tra i premiati ci sono infatti le piccole cantine artigiane, come Giovanni Montisci di Mamoiada o alla cantina Giba nel Sulcis, c’è una grande cantina cooperativa che conferma i tre bicchieri come la Cantina di Santadi e ci sono anche le grandi famiglie del vino sardo come Pala o Argiolas. Addirittura una delle più grandi aziende, di recente acquisita dalla famiglia Moretti, Sella&Mosca, conferma, soprattutto col Torbato, la sua posizione.

So che dietro la Guida c’è un lavoro enorme e certosino.

Carrus: Sì, I premiati però rispecchiano un po’ tutto il lavoro della Guida, non bisogna fermarsi ai premiati, ma vederla nella sua interezza: quest’anno abbiamo assaggiato ben 600 campioni, un record, di più di 100 cantine che hanno presentato i loro vini, e il quadro è quello di una Sardegna molto bella con qualità diffusa, sia con le piccole realtà sia con quelle più grandi, e da alcuni anni.

L’autoctono unito però a dei territori ben precisi funziona. Parlare solo di autoctono non basta. Non va svincolato ai suoi territori di elezione ma unito. Autoctono e territorio sono un po’ la chiave del successo sardo ed è la strada su cui proseguire secondo me, per un percorso di qualità.

Quanto conta la biodiversità nelle produzioni vitivinicole sarde?

Carrus: Nel vino la biodiversità sarda dovrebbe valorizzare questo, dire Cannonau non basta, è una grande uva, una grande qualità, ma si sta coltivando in molte parti del mondo, iniziare a parlare dei singoli territori del Cannonau secondo me è la formula vincente.

Come fare a mettere in etichetta territori e vitigni?

Carrus: Guarda molte volte mi dicono che si fa fatica a parlare del brand Sardegna, come si potrebbe parlare del singolo paese? Le due cose possono e devono andare di pari passo: come c’è un vino Barolo, che è un piccolo paese, che per molti anni è stato pensato come Piemonte Barolo, e allora penso ad un Sardegna Mamoiada, Sardegna Oliena, ad un Sardegna Serdiana. Con la Sardegna cappello di tutta una produzione e i singoli paesi in evidenza. I vini li stiamo già facendo così. Una legislazione adeguata, che passa ovviamente attraverso le denominazioni sarebbe anche la consacrazione di questo sistema in etichetta.

I passi per cambiare le denominazioni quali sarebbero?

Carrus: Le denominazioni nascono perché ci sono dei vitigni in un dato territorio, che una comunità di vitivinicoltori trasforma in vino. Questi si confrontano su sistemi di potatura, di produzione. Se si uniscono lo fanno per il bene comune, quello territoriale. La prima cosa da fare è unirsi in consorzio o in altre forme giuridiche convenienti e adeguate, dove ci sono le grandi Doc che funzionano è perché ci sono dietro dei consorzi di tutela e promozione delle Doc. I produttori stessi portano avanti dei progetti ben precisi sia nei confronti dell’Assessorato all’Agricoltura sino al Ministero e all’Unione Europea.

L’unione fa la forza, perché il vino è territoriale. Il singolo attua le sue attività commerciali, le sue leve di marketing come meglio crede ma il vino è un prodotto territoriale, non di una singola cantina.

Quindi Sardegna Santadi potrebbe essere il cappello per il Carignano?

Carrus: Il Carignano ha già la sua Doc territoriale che è il Sulcis, ma si parla sempre di Carignano poco di Sulcis. Pensa a questo esempio: Sagrantino di Montefalco, che come altre denominazione aveva il nome del vitigno la preposizione di e poi il nome della località, Montefalco appunto. Dal 2011 col cambio di disciplinare, che ha interessato anche metodi produttivi, si sono invertite le due parole: ora quel vino è diventato Montefalco Sagrantino. Semplicissimo. Ora si parla sempre di più di Montefalco e meno di Sagrantino. Perché il Sagrantino lo stavano piantando un po’ dovunque, quindi i produttori sono corsi al riparo. Hanno capito che dovevano valorizzare il loro prodotto, non perché fosse più buono ma perché era diverso. Ora si inizia a parlare di Montefalco, è importante.

Quindi per te la denominazione dovrebbe essere Sulcis Carignano?

Carrus: Per me sì. Chiamandolo Sulcis Carignano: l’accento cadrebbe sulla prima parola e forse per comodità qualcuno potrebbe chiamarlo solo Sulcis. Un giorno, nel mondo, a Tokio come a New York si potrebbe chiedere al tavolo una bottiglia di Sulcis. La differenza qual è? Che il Carignano è un’uva, la piantano in Gallura come la piantano nel sud della Francia, come potrebbero piantarla in California. Il Sulcis è Sulcis.

Se ci pensiamo tutto il mondo conosce lo Champagne, tutto il mondo sa che è una bollicina ma prima di tutto lo Champagne è un territorio, tutto il mondo conosce Barolo e Barolo è un paese che rappresenta quel territorio.

Secondo te la Sardegna ha la forza evocativa nelle proprie regioni storiche (es. Barbagia, Ogliastra, Sulcis, Gallura, Campidano) di essere così suadente e persuasiva nei confronti del consumatore?

Carrus: Sì assolutamente. Secondo me si può pensare al marketing territoriale attraverso il vino, in cui il territorio entra in una bottiglia e in un paio di giorni viene spedita in tutto il mondo, e quel vino parla del territorio. Quel vino reca scritto il territorio nell’etichetta!

In Sardegna abbiamo il Mandrolisai, che è una regione storica dell’isola e anche una denominazione d’origine. Se ci pensi è una denominazione molto meno nota rispetto ad altre. Il Mandrolisai potrebbe essere un ottimo esempio, perché è una Doc squisitamente territoriale.

Dentro la denominazione Mandrolisai Doc ci sono tre vitigni vero?

Carrus: Sì, infatti, ed è a conferma di quanto sto dicendo. Tradizionalmente i tre vitigni, Monica, Cannonau e Bovale, erano piantati nella stessa vigna, c’era l’assemblaggio in vigna. E si faceva il vino assemblandoli insieme, ieri come oggi.

Mi ritorna in mente ciò che sentii dire ad un convegno un paio di anni fa ai vitivinicoltori convenuti: vi possono “portare via” il vitigno ma non il territorio, non le zolle, non il sole, il vento, il mare intorno, la comunità che custodisce i saperi legati alla coltivazione e alla vinificazione dei grappoli. Quella è unica e irripetibile.

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