Torna a “nitrire” in tutta la sua maestosa bellezza, pronto per essere ammirato, dopo quasi due decenni di assenza dalla scena, uno dei protagonisti della collezione di antichità della Galleria degli Uffizi: il grande cavallo marmoreo, scultura romana databile tra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C.. Collocato al centro della sala della Niobe, al secondo piano del museo, esattamente dove aveva troneggiato per un secolo, dagli inizi del Novecento fino al 2006, "condivide" lo spazio con i giganteschi dipinti di Rubens, Suttermans e Grisoni appesi alle pareti. Sofisticati corpi illuminanti valorizzano in modo diretto l’intensità dei colori delle enormi tele Sei e Settecentesche, arricchendo allo stesso tempo di una lucentezza finora mai vista gli gli elementi architettonici e le decorazioni dorate del fastoso soffitto. Inoltre, dopo quasi trent’anni dalla loro installazione sono state tolte le tende alle finestre: a sostituirle, pellicole di protezione dei raggi ultravioletti, che consentono di far entrare nella stanza anche la luce naturale, ed ai visitatori di ammirare le vedute del centro di Firenze, nell’ottica del generale riaprirsi del museo alla città.
La grande statua, rinvenuta casualmente nel Cinquecento alla foce del Tevere, entrò a far parte del gruppo di opere archeologiche che il cardinale Ferdinando I de’ Medici, grande appassionato di antichità, volle esporre scenograficamente nel giardino della sua villa a Roma sul Pincio, oggi sede dell’Accademia di Francia. Il cavallo giunse a Firenze, per volontà del Granduca Pietro Leopoldo di Lorena, solo più di un secolo e mezzo dopo, nel 1770, insieme alla compagine scultorea della Niobe. Il suo accostamento ai Niobidi, fin dai tempi di villa Medici, è legato a suggestioni di letteratura latina: Ovidio, nelle Metamorfosi, racconta infatti l’uccisione dei numerosi figli della mortale Niobe, colpevole di hybris per essersi definita più prolifica di Latona, madre di Apollo e Artemide, trafitti dalle frecce dei due stessi dei, scesi cavalcando dal cielo appositamente per sterminare come punizione divina l’intera famiglia. La potenza evocativa del mito era allora già così forte da far sì che per accogliere questi pezzi leggendari fosse progettata, per volontà dello stesso Granduca, una sala speciale. Questo spazio, frutto di complessi lavori di ristrutturazione e di allestimento del grande ambiente del Terzo Corridoio denominato all’epoca “lo Stanzone”, fu inaugurato, proprio con il nome di “Sala della Niobe”, il 20 febbraio del 1780. Accanto agli architetti Zanobi del Rosso prima e Gaspare Maria Paoletti poi, vi lavorarono Giuseppe del Moro, che realizzò la copertura a cassettoni decorata con rosoni dorati, i fratelli Grato e Giocondo Albertolli per gli stucchi, Tommaso Gherardini per i cammei ed i motivi a grottesca intorno alle finestre, il pittore Filippo Lucci, che dipinse le basi delle statue. Nel 1781 Francesco Carradori plasmò i rilievi in stucco delle 4 lunette della sala, nelle quali troviamo raffigurati, fra gli altri, Apollo e Artemide saettanti; un pregevole innesto neoclassico che, nel percorso della Galleria, resta a tutt’oggi un unicum. Il Cavallo, inizialmente non presente nell’allestimento (benchè esposto nel percorso di visita del museo), fu riunito ai Niobidi agli inizi dello scorso secolo. Nel 2006 il cavallo fu rimosso per essere sostituito con il grande sarcofago, anch’esso romano, detto “Del Generale”, che adesso è stato collocato al piano terreno. Da allora, la maestosa statua equina è stata visibile, temporaneamente, in due sole occasioni, nel 2017 al giardino di Boboli per la mostra A cavallo del Tempo e nel 2023 in qualità di “ospite d’onore” della Fiera di Verona. Sottoposto nelle passate settimane ad una delicata operazione di ripulitura realizzata nella stessa sala della Niobe a museo aperto dalle restauratrici delle Gallerie Sabrina Biondi ed Elena Prandi, il grande cavallo romano è ora di nuovo ammirabile in tutto il suo splendore dai visitatori degli Uffizi.
“Con il nuovo allestimento della sala della Niobe, è come se gli Uffizi avessero acquisito oggi capolavori della pittura, in passato sostanzialmente invisibili, a causa dell’inadeguata illuminazione museale. Inoltre il ritorno del grande cavallo ellenistico in questo spazio dopo quasi venti anni è un nuovo passo in avanti nel progetto della ricomposizione storica delle collezioni del museo. Così una delle più importanti sale di epoca lorenese viene restituita alla sua piena leggibilità e messa in tutto il suo recuperato splendore a disposizione del pubblico” - Il direttore del museo Simone Verde.