Se c’è qualcosa che si apprende lavorando al suo fianco, nel suo ristorante Mirazur, è che Mauro Colagreco non ama le definizioni. Del resto, il Mirazur, due stelle Michelin, 6° ristorante al mondo nella classifica “The World’s 50 Best Restaurants”, si trova esattamente al confine tra Italia e Francia, alla frontiera tra Ventimiglia e Mentone; stretto delle incombenti Alpi Marittime; a bordo, anzi a picco sul mare Mediterraneo: lo dice il nome, Mirazur - O mira al sur?, “guarda al sud” - a quella parte del Sud dell’America che ha dati i natali allo chef. Da una famiglia italo-argentina. Perciò, quando viene chiesta una definizione dello chef, del Mirazur o della sua cucina, non si può che rispondere che Mauro Colagreco è uno chef di frontiera, che dal crocevia naturale e culturale in cui si trova sa raccogliere e servire in un piatto bellezza, armonia e paesaggi sconfinati di sapori inaspettati.
La giusta interpretazione di questo lembo di terra da parte di Colagreco e della sua brigata di cucina, tenacemente guidata dagli instancabili Antonio Buono, chef di cucina e Davide Garavaglia, sous chef, è stata premiata dai riconoscimenti internazionali, ma più di tutti, dallo stesso Mirazur che quest’anno festeggia i suoi primi dieci anni di vita. E non è cosa scontata, in una regione turistica come la Costa Azzurra. Mauro Colagreco si è trovato nel momento giusto, al posto giusto, la giusta irrequietezza di spirito, tenacia, la giusta dose di coraggio e sana follia e un talento fuori dal comune per diventare quello che già era: uno chef di cucina, alla frontiera, riconosciuto in tutto il mondo.
L’amore per la terra è ciò che sostiene lo chef Mauro, come dimostra la decisione di coltivare nel suo orto le verdure che, giornalmente, Antonio, Davide e tutti i cuochi della brigata preparano per i clienti. Dietro l’enorme, faticoso lavoro giornaliero del Mirazur risiede la cura del ciclo delle stagioni, del rispetto della natura.
Proprio per questo non esiste una vera e propria carta al Mirazur. Chi capitasse dalle parti del mercato di Ventimiglia, di prima mattina, molto facilmente troverebbe lo chef Mauro intento a scegliere le materie prime disponibili a partire dalle quali il menu viene costruito ogni giorno, nuovo, fresco. I clienti, al Mirazur, sono piuttosto invitati a scegliere une tendenza: Clorophylla, il mondo vegetale; Aqua, il mare; Terra, la terra e le sue carni.Tutto il resto è una sorpresa.
Al Mirazur si vive un’esperienza che, prima di passare per la bocca, passa per gli occhi, non solo per l’incredibile bellezza dei piatti, ma anche per la vista mozzafiato che da Mentone scorre lungo la costa fino a Montecarlo. Non per niente i clienti in fase di prenotazione si raccomandano “...che il tavolo abbia la vista, la prego”.
Intervistandolo, abbiamo chiesto prima di tutto di commentare il recente risultato che pone il suo ristorante tra i migliori nel mondo…
“Siamo chiaramente felicissimi di questo risultato, a dir la verità inaspettato. In Francia ci sono talmente tanti ristoranti di alto livello che è davvero un onore essere classificati al 6° posto della classifica "The World’s 50 Best Restaurants”.
Se dovessimo definire in tre parole la sua cucina, che formula sceglierebbe?
“Bellezza, sorpresa, condivisone e se posso aggiungerne una quarta… passione”.
Un po’ di storia: lei è argentino, cosa l’ha portato in Francia?
“Non vengo da una famiglia di cuochi professionisti. Mia mamma è notaio, mio padre esperto contabile. Provai a seguire le orme di mio padre, ma quasi subito capii che non era la mia strada. In seguito provai la via della letteratura, ma anche in quel caso intuivo che qualcos’altro mi aspettava, che dovevo andare avanti nella ricerca. Ero perso, quando mia sorella, un giorno, dissipò ogni dubbio con una frase, un ricordo. Mi disse: quando eri piccolo tu amavi cucinare con la nonna Amalia. Perché non provi a iscriverti ad una scuola di cucina? Rimasi incantato, mi misi subito all’opera e da quel momento non mi sono ancora fermato. Mi iscrissi in Argentina alla scuola Gato Dumas e mi piacque subito. Un giorno tuttavia un professore mi disse che se davvero avessi voluto diventare cuoco, chef, sarei dovuto andare in Francia per conoscere i migliori cuochi che hanno fatto la storia dell’alta cucina. Così feci, fui accettato al liceo alberghiero della Rochelle, decisi di fare uno stage in cucina presso il ristorante tre stelle Michelin di Bernard Loiseau. Non fu facile, inviai lettere e lettere allo chef Loiseau, senza ottenere risposta. Non mi persi d’animo, più determinato che mai andai a bussare direttamente alla sua porta insistendo per essere accettato come stagista, non mi importava dover accettare anche il più umile dei compiti, volevo entrate da Bernard Loiseau. Ed entrai. Alla fine dei tre mesi di stage lo chef Loiseau mi propose un posto come commis, che accettai subito, così non feci più ritorno alla scuola. Appresi le basi della cucina francese per un anno e mezzo, poi, in seguito alla tragica morte di Bernard Loiseau andai all’Arpège a Parigi, da Alain Passard, tre stelle Michelin. Entrai da Passard come chef de partie de dopo due anni ne uscii come sous-chef, ero responsabile della cucina di Alain Passard. Trascorsi poi un anno come sous-chef al Grand Véfour, sempre tre stelle Michelin, ma già avevo in testa un desiderio chiaro, volevo il mio ristorante. Cominciai a cercare possibili posti in Spagna, chiaramente per via della lingua e della vicinanza, diciamo, culturale. Poi una sera uscii con alcuni amici che per passaparola sapevano che a Mentone c’era un locale magnifico, chiuso da tre anni. Non conoscevo Mentone, ma perché non provare, insomma? Mi misi in contatto con i proprietari della struttura, ci mettemmo d’accordo per visitarla. Non appena vidi la sala, la vista sul mare e su Mentone, il giardino lussureggiante nel quale è immerso, il contesto ricco di storia e cultura, al confine italo-francese… me ne innamorai perdutamente, a due passi dall’Italia, paese dei miei nonni, cosa potevo volere di più? Mi misi d’accordo con i proprietari e nel 2006 finalmente aprii il Mirazur”.
Esiste un modello culturale anche nel mangiare: che differenza riscontra tra un argentino, un francese un italiano… ?
“Sicuramente esiste un modello culturale: in Argentina si mangia molta carne, ma al di la di questo, penso che italiani ed argentini ad esempio condividano il valore della convivialità, ovvero riunire la famiglia intorno ad tavolo imbandito di buon cibo. I francesi già non hanno questo tratto culturale, riunire tutte le sorelle, i cugini. In Argentina tutti i week end ci si riunisce per fare l’asado. C’è questa cultura intorno al cibo, come anche in Italia, no?”
Come è la tipologia dei suoi clienti? Varia o corrispondente a un canone?
“Abbiamo una clientela tipica della Costa Azzurra, un misto di persone del posto e un 50% di turisti. Poi però dipende dagli anni, anni in cui ci sono parecchi americani, anni in cui prevale una clientela russa. Siamo alla frontiera: in Italia sono conosciuto, dunque anche molti italiani vengono al Mirazur, così come tanti monegaschi, siamo davvero allo snodo di un crocevia culturale. Poiché sono presente anche in Cina, abbiamo anche un’importante clientela cinese”.
Se dovesse preparare il suo miglior piatto, cosa sceglierebbe?
“’La foresta’. Senza dubbio, un piatto che è nel menu del Mirazur dall’apertura e che cresciuto, evolvendo, cambiando, perfezionandosi, nel corso degli anni”.
E per una cena romantica cosa consiglia?
“In effetti mangiamo molto semplice a casa tra noi, una pasta fatta in casa, verdura dell’orto, appena colta, del pesce. Una bella bottiglia di vino”.
Ha mai pensato di creare un ristorante in Italia?
“Sono aperto a tutte le proposte. Ho trascorso del tempo in Italia per lavorare a Top Chef Italia, che è iniziato il 14 settembre su Deejay Tv, Canale 9; con mia moglie Julia abbiamo viaggiato più spesso in Italia che in Francia. Ma non abbiamo mai preso iniziativa, e poi è una questione di opportunità. Ho avuto una bella proposta per la Cina, ho colto l’occasione. Mai dire mai comunque, se dovessi ricevere proposte per l’Italia…”.
Ci illustri le sue iniziative in programma, i suoi progetti…
“Un tema che mi sta particolarmente a cuore è il modo in cui produciamo il cibo e la sua sostenibilità. Conosco bene il modo in cui i pesticidi vengono usati e questo è un problema che si riscontra dappertutto. Ho voluto cominciare a fare qualcosa in questo senso partendo dalla mia terra natia, il Sud America, con il progetto “Origenes” al quale lavoro insieme con due miei grandi amici e grandi chef allo stesso tempo: Virgilio Martinez e Jorge Vallejo. Origenes ha lo scopo di contribuire alla salvaguardia e valorizzazione dei prodotti e delle tecniche di cottura indigeni. È un progetto che coinvolge tre paesi: Argentina, Messico e Perù. Un altro progetto a cui mi sto dedicando è “Sanctuarios”, in Argentina, che ha come obiettivo la creazione di un santuario vero e proprio di semi e piante a rischio di estinzione. Una sorgente naturale a cui poter attingere. Collaboro anche con la Facoltà di Agronomia dell’Università di La Plata per contribuire all’insegnamento del buon modo di coltivare. Purtroppo, ancora troppo spesso si riscontrano casi di un uso smisurato o non appropriato di pesticidi, non vigono controlli severi diciamo come si posso trovare in Francia o in Italia”.
Per cosa le piacerebbe essere ricordato, un giorno?
“Per essere un buon papà”.
Articolo scritto in collaborazione con Valentina Florio.
Alcuni piatti...
Foto 4: La Foresta. Risotto di Quinoa, funghi e salsa Grana Padano
Foto 5: Cannelloni di granchio, avocado e pompelmo
Foto 6: Piccione, petali di rosa, fragole di bosco
Foto 7: Ostriche e declinazioni di pere