Food :: 31 ago 2015

LEA LINSTER: CHEF IN ROSA LUSSEMBURGHESE “SEMPLICEMENTE” UNICA

Solare, dallo sguardo intelligente. A tratti estrosa, di certo esigente, soprattutto con se stessa. Questa è la grande chef Léa Linster (1), fiore all’occhiello e tappa "gourmet" obbligata del Gran Ducato del Lussemburgo. Prima e unica donna chef a vincere nel 1989 il prestigioso concorso gastronomico internazionale "Bocuse d’Or" (7). Un riconoscimento che la proietta nell’Olimpo dei grandi. Una popolarità correlata anche da altri numerosi meriti, come il "Best woman chef cookbook in the world" nel 2003 e molto altro ancora.

Da oltre 25 anni, nel suo Ristorante a Frisange (5-6) alle porte di Lussemburgo, emoziona con piatti dove tradizione e immaginazione sono in meravigliosa armonia. Rispetto per la materia prima e accostamenti originali, il tutto condito da un grande amore per il proprio mestiere. Con un tocco femminile, nei colori e nelle forme.

Léa, da dove nasce la sua passione per la cucina?

Sono figlia della gastronomia. Terza di quattro figli, anche se ho una formazione da giurista, ho capito presto che la strada da intraprendere era diversa: un entusiasmo, quello della cucina, trasmesso da mio padre, uomo dalla profonda immaginazione e creatività. A mia madre, invece, devo la forza per realizzarlo. E così funziono, la determinazione alternata alla fantasia.

L’aspetto emozionale, certo. In cucina è sempre un elemento importante. Con una base scientifica, però. È d’accordo?

Sono assolutamente d'accordo. Considero, inoltre, fondamentale la nozione di "buono", la cucina deve essere buona da mangiare, ça vas sans dire, ma anche buona per la salute e buona per l'ambiente. Una sorta di cerchio, di sistema armonico "buono" dall'inizio alla fine. Nulla deve nuocere, tantomeno alla cultura gastronomica in senso lato. Un vero chef non può prescindere da questo.

Come preferisce definire la sua cucina?

Una cucina autentica (3-4). Schietta, nel senso più positivo del termine. Non eccessivamente elaborata, dove la materia prima, sempre di alta qualità, sia l'elemento fondamentale di riferimento, da non perdere nella sublimazione del piatto. Mai allontanarsi troppo dall'autenticità di ogni singolo elemento di concerto.

Quanto c’è d’italiano nei suoi piatti?

La cucina italiana sintetizza un po' il mio "sentire" gastronomico: se da un lato, infatti, mi piace molto la raffinatezza della cucina francese, dall'altro ritengo imprescindibile l'aspetto naturale della vostra cucina. Gli italiani vivono molto della qualità dei loro prodotti, del coté genuino. Nella vostra arte culinaria c'è poca manipolazione, una caratteristica che ritrovo nella mia natura lussemburghese, quella più regionale, vuoi più pura. C'è chi, nel bisogno di distinguersi dagli altri, fa della ricercatezza/diversificazione un aspetto quasi maniacale; spesso, però, i fondamentali sono più interessanti, ritorna quello che per me è un leit-motif d'eccellenza, la semplicità. Ma, mi passi questo jeu des mots, fare una cucina semplice è tutt'altro che semplice: oltre a una profonda conoscenza di se stessi, è imperativo avere grande consapevolezza di ciò che si fa e di come lo si fa. Non si parla di cucina semplice fine a se stessa: fondamentale, infatti, rispettare e comprendere gli ingredienti per poterli interpretare in maniera corretta.

La prima donna a vincere l’autorevole “Bocus d’Or”, coppa del mondo dell’alta cucina. Cosa ha significato per lei questo plauso?

Mi stupisco ancora quando penso che due anni prima del premio "Bocuse d’Or" ottenni una stella Michelin, poi nel 1989 il prestigioso riconoscimento di Paul Bocuse, appunto, e solamente 4 anni prima avevo inaugurato l'attività del mio ristorante. Tutto è arrivato molto presto, rapidamente e insieme. Una sorta di fiume in piena inaspettato che ha piacevolmente rivoluzionato la mia carriera. Erano gli inizi e spesso a ogni azione corrispondeva un cambiamento: queste due vittorie non hanno fatto altro che innescare un processo di accelerazione ancora più significativo. Oltre che di responsabilità.

Si dice che le cose importanti arrivino quando siamo pronti ...

Si. Lo decide la natura delle cose... In realtà e nonostante tutto, in quel momento, non ero sempre scevra dai dubbi, anzi... Una corrente improvvisa che ti spinge e trascina anche con grande impeto può a volte disorientare ma è in quel momento che occorre affidarsi alla vita, affrontando con coraggio e determinazione i cambiamenti che ti propone. Detto questo, l'esperienza del premio Bocuse ha rappresentato un passaggio molto positivo.

Forse gli italiani non sanno che il Lussemburgo è un territorio vocato per un raffinato vino autoctono. Quali vitigni preferisce in particolare?

Siamo nel territorio di un ottimo Riesling, un pregiato vitigno che si produce soprattutto nella Valle della Mosella, il nostro fiume che bagna anche la Germania e ne definisce i confini. Un altro vitigno tipico è l'Auxerrois. Un’etichetta che amo particolarmente tra quelle che degusto sempre di persona, prima ancora di proporle a mie clienti, è il bianco “Clos des Rochers”, un Auxerrois che si sposa molto bene con il collo di maiale affumicato, piatto tipico lussemburghese, dal carattere deciso e naturalmente dolce e, più in generale, con vari jambons fumé.

Se il Lussemburgo fosse un ingrediente?

Penso al mio Paese come terra solida, di tradizione agricola, poi grande polo industriale e ora finanziario. Lo associo all'alimento che ha sfamato nei secoli intere generazioni: il tubero più amato, la patata. Semplice, ricca e nobile. Il Lussemburgo da sempre produce patate di altissima gamma. Anche per questo ho scelto di guarnire il mio piatto principe – "L’Agnello Bocuse dOr" (2)- con una trina delicata e croccante di patate: un’impronta per rinnovare la memoria e le proprie radici, territoriali e intime.

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