Food :: 6 mag 2016

PIZZA e BRASILE

A Genova protagonisti storia, musica, letteratura e calcio

Si parla di di storia, antropologia e letteratura. Si mettono a confronto due paesi, il Brasile e l’Italia in una due giorni di confronti, dibattiti, memoria e speranza nel futuro.

“Brasile-Italia: andata e ritorno. Storia, cultura, società”, in programma il 12-13 maggio 2016 a Genova, alla Biblioteca Universitaria di via Balbi 40, è un evento strutturato in cinque tavole rotonde, con ospiti italiani e brasiliani, organizzata da Jacarandá – Associazione Interdisciplinare Brasilianisti Italiani – fondata da sette docenti universitari per contribuire ad abbattere i tanti pregiudizi che riguardano “o país maravilhoso”. C’è lo spazio per parlare della storia dell’emigrazione italiana in Brasile, per conoscere meglio dialoghi e scambi tra lingue e letterature, per ascoltare i testi e le note immortali della musica brasiliana – con la performance della brillante cantante Barbara Casini – per meravigliarsi della profondità delle religioni afro-brasiliane, per appassionarsi alla magia del “futebol brasileiro” (tra gli ospiti il grande campione José Altafini).

Eppure... la novità più grande è offerta da Reginaldo Prandi, professore dell’Università di San Paolo, che racconta l’avventura della pizza (1) tra Italia e Brasile. E sì perché la pizza in Brasile, e soprattutto a San Paolo, viene considerata un’icona, un patrimonio ereditato dalle origini italiane. Al punto che alla pizza (2) è dedicata persino una festa, il 10 di giugno. Il Brasile consuma ogni giorno un milione e mezzo di pizze, delle quali più della metà a San Paolo, ma si deve precisare che la pizza più richiesta è quella di misura grande, che serve in media tre persone.

L’italiano – è capitato anche al vostro cronista – si sorprende assai di fronte a espressioni, nomi, cibi presentati dai brasiliani come fossero nostrani e che non riconosciamo come tali. Ad esempio, che ci aspetteremo noi da una “pizza pepperoni” se non il peperone? Invece la Pizza pepperoni (“pepperoni” è un salame piccanti), è invenzione delle Americhe che l’Italia disconosce.

La storia della pizza si interseca e fonde con la storia dell’emigrazione italiana in Brasile. Al loro arrivo, gli italiani dovettero abituarsi al cibo brasiliano. In Brasile si mangiano ogni giorno riso e fagioli, accompagnati, se si hanno le possibilità, da qualche tipo di carne (manzo, maiale, pollo e, più raramente, pesce). Verdure e legumi sono sempre statialimenti tipici della classe media, mentre la frutta è quella coltivata in giardino: arancia, papaya, banana, mango, anguria. Ma l’italiano che andò lavorare nelle piantagioni di caffè non dimenticò le ricette italiane, a cominciare dalla polenta, che tuttavia , nella maggior parte dei casi, non viene consumata come piatto principale abbinato a sughi e carni, come succede con le paste e i risotti, ma come un complemento che, nella forma di fette grigliate o fritte, sostituisce le patate fritte come contorno.

Venendo alla pizza, la leggenda vuole che, per conquistare l’Italia, questa dovette attraversare l’Atlantico e successivamente compiere un cammino di ritorno. Sino al 1939 era più facile trovare pizza A New York o a San Paolo che in qualsiasi città italiana che non fosse Napoli, e solamente alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in coincidenza col periodo di occupazione dei soldati americani, la pizza cominciò ad essere popolare in tutta l’Italia.

Alla fine degli anni ’50 del ‘900 la pizza paulista seguiva i passi della pasta italiana, rivaleggiando con le cantinas e le trattorie. La pizza standard si definì come un cerchio di pasta sottile di 35 cm di diametro, in media, ricoperta da sugo di pomodoro, mozzarella e origano, e cotta nel forno a legno. Si trovavano già anche farciture alternative: pizza con il tonno, pizza con linguiça calabresa (con pezzi di salsiccia piccante e cipolla affettata), pizza alla portoghese (con prosciutto, mozzarella, pomodoro, cipolla, uova sode e olive). E non poteva mancarela margherita, con i colori della bandiera italiana, nel tanto decantato omaggio alla regina Margherita di Savoia. Comunque,se il palato del clientelo richiede, molti pizzaioli possono preparare la pizza con la pasta alta e anche con il bordo ripieno.

Con l’inizio degli anni ‘80 cominciò una creatività che sembra non abbia limiti. Un proprietario di pizzeria sostituì la mozzarella (di latte vaccino) con il formaggio Catupiry, oggi molto usato nella cucina brasiliana. Dieci anni dopo, i menu delle pizzerie offrirono più di trenta tipi di pizza; e alcune oggi ne hanno 150! Alcune varietà possono sembrare improbabili: pizza con costine di manzo, con cuori di pollo, al carpaccio, alla strogonoff, alla carne secca con Catupiry, con salsiccia di struzzo, con baccalà e patate, con riso e fagioli, con trippa di capretto, con mocotó al peperoncino. Ci sono pizze con qualsiasi cosa, anche dolci: con la composta di frutta, al cioccolato, al gelato… Ma resta imbattibile il quartetto classico formato dalle pizze mozzarella, margherita, calabresa e portoghese. Se è difficile scegliere, la cosa migliore da fare è sedersi a un tavolo di un rodizio di pizze (oggi cominciano a svilupparsi anche da noi, con il nome di “giropizza”), con i camerieri che passano continuamente offrendo fette di pizza di diverse varietà. Ognuno mangia quella che preferisce e mangia quanto vuole, pagando alla fine un prezzo fisso. Nulla di più di quello che già si faceva con la carne in alcune churrascaria.

Negli anni ‘80 si diffuse anche il servizio di consegna a domicilio, il “pizza delivery”, un successo clamoroso, sostenuto da un esercito sempre in crescita di fattorini per pizza che montano in sella a motociclette come moderni cavalieri medievali.

Ma qui arriva la parte migliore della storia: la pizza brasiliana può essere servita in più di una varietà (3), generalmente con due farciture, ognuna a scelta del cliente, da una lista enorme. Per esempio, può essere per metà margherita, metà romana; metà mozzarella di bufala, metà champignon; metà quattro formaggi, metà alle alici; metà vegetariana, metà al lombo di maiale; metà funghi, metà calabresa; metà pomodori secchi e rucola, metà melanzane e pancetta… Ciascuno sceglie la sua metà, nessuno litiga e tutti mangiano un po’ di ognuna. In Italia, dove la pizza normalmente è per una sola persona e di un solo gusto, un brasiliano si sente smarrito: “Non si può ordinare con metà diverse? Non ce n’è una grande, c’è solo quella per una persona?”, chiede sconsolato.

Comunque sia, anche in Brasile il modo migliore per concludere la giornata è quello di mangiare una pizza in buona compagnia. Oltre a propiziare un’opportunità di socialità, di unione e di celebrazione, mangiare la pizza insieme può comunque essere un’occasione per parlare di lavoro e di affari. È un buon pretesto anche per risolvere questioni delicate e concludere accordi tra parti in conflitto. Quando gli scandali di corruzione dei politici, funzionari pubblici e imprenditori arrivano a conclusione senza che nessuna delle persone coinvolte nelle truffe subisca alcuna condanna non è improbabile che costoro si uniscano per celebrare l’accordo, chiaramente condividendo una buona pizza. In questi casi, basta una frase per commentare l’atteso epilogo: “Tutto acaba em pizza”, “Finisce tutto in pizza”, una sorta di “tarallucci e vino” in salsa tropicale. Anzi, in salsa rigidamente italo-brasiliana.

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