Magia, cibo, leggende. Sessualità. Un legame indissolubile, universale, umanissimo, che la brillantissima penna di Alessandra Guigoni aiuta a decifrare. C’è un’intima connessione – ci racconta l’antropologa-blogger, nata in Liguria e residente in Sardegna - tra la sfera nella religiosa, spirituale e il cibo, tra il pane e i santi (1). Si chiama “La lingua dei santi” (2) questo libro tanto sintetico, lieve – nel senso più nobile del temine – e altrettanto “denso” di spunti e riflessioni antropologiche.
Perché tanti sono i temi, i cibi, gli… accostamenti esaminati. Si va quindi dai prodotti fermentati, con il loro significato simbolico-culturale, ai pani e ai dolci, amuleti dei santi, per arrivare a quei cibi che la tradizione è solita associare all’incremento della fertilità.
Magari, distratti, dallo scorrere veloce del nostro tempo, trascuriamo come tra i santi vi siano i protettori dei mestieri legati al mondo della cucina – solo per citarne qualcuno, da Sant’Armando, patrono di baristi e birrai, a Sant’Isidoro, patrono degli agricoltori, da Santa Marta, patrona dei cuochi, a san Lorenzo patrono dei pasticceri, a San Pietro patrono dei pescatori – oppure dimentichiamo come ogni santo e festa che si rispetti ha, da sempre, il proprio dolce preferito. Guigoni (3) ricorda come l’anno liturgico, a cui si abbinano soprattutto pani e dolci speciali, dimostra tangibilmente la compresenza, ancor oggi, del tempo ciclico, magico–religioso.
Un certo spazio viene dedicato a Sant’Antonio e al suo legame con il maiale; a San Biagio e ai talismani della gola; a Santa Lucia e i suoi dolci; ma particolarmente originale e … ironicamente pruriginoso risulta il capitolo sui doppi sensi. “Nelle cucine regionali d’Italia”, dice l’antropologa, “sino a non molti secoli fa pani, paste e dolci che richiamavano gli organi sessuali femminili e maschili erano riconosciuti come tali, senza falsi pudori nella cultura cristiana tracce di culti pagani della fertilità che richiedevano rappresentazioni figurative che oggi nel senso comune suonano come oscene. Queste immagini iniziarono a sparire a partire dal XIV secolo ma sono sopravvissute, sia pure marginalmente, nella tradizione popolare diciamo”. Il fatto è che sono sopravvissute anche nella cultura cristiana tracce di culti pagani della fertilità che richiedevano rappresentazioni figurative che oggi nel senso comune suonano come oscene; immagini che sono sopravvissute, sia pure marginalmente, nella tradizione popolare. Come non pensare a “banana, melone, pannocchia, carota, cetriolo, fava, pisello, bocciolo, giglio, papavero, biscotto, maritozzo, salsiccia, babà”; oppure a “patata, fiore, rosa, giglio, fica, fragola, oliva, prugna, brodosa, frittella, lasagna, gnocca”… Del resto, gli stessi culurgiones o culurgionis, gloria di Sardegna, avrebbero una storia tutta da raccontare: il termine che li designa potrebbe derivare da cuna, “culla”, ma anche anfratto e origine del mondo. Ma anche l’etimo proposto in alternativa per questa tipologia di pasta antica, che si preparava esclusivamente durante le festività, da culleus (sacchetto di cuoio), sposta semplicemente l’attenzione dal sesso femminile a quello maschile.
Come dire, insomma che mangiare è sempre un atto di fede, di sesso, di vita. E non può che essere così.
Alessandra Guigoni, La Lingua dei santi. Cibo e vino nel tempo tra sacro e mondano.
Aracne, Roma, 2017, 96 pagine, 9 euro.