Lui, Vadinho, è un uomo appassionato e virile, molto malandro, certo, ma come fa l’amore lui non lo fa nessuno. E chi non lo vorrebbe un compagno così? L’altro lui, il dottor Teodoro, farmacista serio e compunto, devoto, fedele e ricco al punto di giusto, assicura un solido presente e un futuro ancor più radioso. E chi non lo vorrebbe un marito così? In mezzo, nella morsa, c’è lei, sensuale, viva, umanissima, ma anche forte, e per di più grande, grandissima cuoca: Dona Flor, tutto quello che gli uomini desidererebbero da una donna, e tutto quel che una donna vorrebbe essere.
Ecco il trio di personaggi di “Dona Flor e i suoi due mariti”, romanzo immortale di Jorge Amado, scritto nel 1966 e che è belle leggere e rileggere ogni tanto (2). Perché tante sono le chiavi di interpretazioni del romanzo: non è semplicemente il racconto di un trio molto piccante, ma piuttosto la rappresentazione di un Brasile meticcio (1), favoloso sì, ma anche profondamente ricco di umanità reale, terrena, sofferta. In più, la città di Salvador di Bahia con i suoi misteri “afro”, il suo carnevale, la sua sensualità che penetra ogni cosa, come fosse un unguento, non funge semplicemente da quinta del romanzo. In primo piano la cucina saporita, piccante e tentatrice di cui la città va fiera: Floripedes Paiva Madureira, appunto Dona Flor dos Guimarães, gestisce la “Scuola di culinaria sapore e arte” e qui prepara vatapá, cururu, acarajé, moqueca, specialità importate dall’Africa con significativi, importanti adattamenti americani.
Chi ha conosciuto e amato Bahia (2) non può fare a meno della compagnia fisica del romanzo: Vadinho, che vaga come un fantasma – muore all’inizio del romanzo, in realtà, ma continua a corteggiare, meglio a insidiare amorevolmente la sua sposa - ci pare di scorgerlo in mille volti di uomini disperati e allegri, sorridenti e derelitti che si incrociano. Il farmacista Teodoro è la faccia rispettabile della città e di un Brasile che ripetutamente, per tutto il Novecento e ancora negli ultimi decenni ha cercato, senza riuscirci pienamente, a entrare nel novero delle nazioni che contano, economicamente, politicamente, culturalmente. Un Brasile in lotta, insomma, per la propria affermazione di identità, come in lotta perenne è Dona Flor, tormentata dai sensi, tentata da quello spirito di Vadinho che si incarna solo per rifugiarsi nel suo letto e al contempo rassicurata dalla protezione dell’uomo che forse ama, ma certo con un trasporto diverso.
Ma non sarà che Dona Flor, semplicemente, è una donna leggera? In realtà tutti i personaggi di Amado sono imperfetti, pieni di dubbi, di ferite, di inquietudini e non aspirano mai all’assoluto; apparirebbero, a una lettura superficiale incapaci di scegliere; al contrario, sono tutti, da Teresa Batista a Tieta do Agreste a Pedro Arcanjo, figure di altri imperdibili racconti, “strategicamente” portati ad accogliere, rielaborare, sincretizzare.
Nel film ispirato al romanzo, con la regia di Bruno Barreto, Sônia Braga nelle vesti di Dona Flor, accompagnata dalle note di “O que será” di Chico Buarque de Hollanda esce da messa, dalla chiesa del Pelourinho con a braccetto il dottor Teodoro e, insieme, lo spirito invisibile di Vadinho, nudo addirittura, che al solito le tocca il culo. La scena potrebbe raccontarci di una donna (e metaforicamente di un Brasile) che non sanno scegliere: a ben guardare è invece una straordinaria lezione di vita, perché non è forse vero che in tutti noi romanticismo e carnalità, passione e realtà, vita e sogno cercano una condivisione, una sintesi, un’ipotesi di convivenza?
Jorge Amado
Dona Flor e i suoi due mariti
Garzanti, Milano, 2003
Pp. 528
Prezzo: 19 euro