Intervista realizzata insieme a Gianluca Moreschi.
Quattro chiacchiere con il grande scrittore, giornalista e "oleologo" (come lui ama definirsi) Luigi Caricato (1). Affascinati dalla "melodia" e dai suoni che gli olivi emettono...
L’idea di indagare su questo aspetto così inusuale è scaturita dai recenti e numerosi studi intorno alla sensibilità delle piante. Si è sempre pensato che queste si limitassero a vegetare, invece scopriamo che sono dotate di una intelligenza molto articolata e, chissà, forse anche di una coscienza (2). Non lo sappiamo, non possiamo ancora saperlo. Ciò che è certo, è che le piante rispondono agli stimoli esterni, non in modo meccanicistico. Da qui l’intuizione di cogliere le opportunità offerte dalla tecnologia nel captare i suoni che gli alberi di olivo emettono. Sono suoni che esprimono uno stato d’animo, mai uguali, ma mutevoli in ragione delle differenti condizioni in cui si trovano a vivere. La sorpresa è stata ascoltare il suono dolente e perfino straziante degli olivi ammalati di Xylella, il batterio che ha decimato oltre venti milioni di alberi nel sud della Puglia. Le piante sane reagiscono in modo completamente diverso, quelle giovani esprimono suoni festosi, vivaci, raggianti. Tutto ciò è stato possibile grazie a una specifica tecnologia, Plants Play, applicando degli elettrodi sulle foglie e sui rametti. I segnali elettrici scaturiti dalla linfa sono stati convertiti in note musicali tramite un algoritmo. In tal modo le frequenze generate dalla pianta sono state a loro volta captate e inviate a un’apposita App per smartphone, la quale, decodificandole, le ha rese fruibili. Ciò che stupisce, in questa operazione, è che si possa perfino arrivare a generare fino a cinque note in contemporanea, generando una melodia polifonica tanto complessa quanto efficace e suggestiva. Nel corso di Olio Officina Festival abbiamo eseguito l’operazione in diretta, su una pianta di olivo giovane, con il prezioso apporto di Alberto Fachechi, fondamentale in questo progetto denominato “Verde musicale”.
Come tutti gli organismi viventi, le condizioni ambientali sono determinanti, e negli ultimi anni non sono state così favorevoli. Mai era capitata una situazione d’emergenza così grave. Manca oggi l’olio in tutta l’area del Mediterraneo. Un calo mai registrato in maniera così drammatica. La siccità ha messo in ginocchio il settore; e poi c’è stata la pioggia, che si è avuta proprio nel momento peggiore, quando i fiori si trasformano in frutto; e poi, a infierire ulteriormente, ci sono stati una serie di eventi patogeni, con nuove malattie delle piante, con la mosca delle olive e altre situazioni penalizzanti. C’è da ripensare l’approccio agronomico. L’olivo è una pianta rustica, e pertanto reagisce bene alle situazioni estreme, ma occorre che si metta in campo una nuova idea di olivicoltura, più funzionale al nuovo contesto, fondandola su una logica più resiliente e sostenibile.
Gli ultimi due anni sono stati difficilissimi. Sono finite le scorte delle passate produzioni (3), le condizioni climatiche poco favorevoli hanno compromesso una stagione d’oro dell’olivicoltura mondiale. Non sono però pessimista, ritengo sia una circostanza provvisoria questo stato di impasse, anche se è bene restare in guardia e trovare soluzioni. L’olivicoltura è una industria a cielo aperto, soggetta a situazioni imprevedibili (4). Dobbiamo imparare da Israele, che ha l’agricoltura più innovativa del pianeta, riuscendo a rendere fertile perfino il deserto.
Sono sorprendenti. Ormai dobbiamo abituarci agli oli dei nuovi Paesi produttori. Le cultivar - ovvero gli olivigni, le varietà di olivo - sono quelle del Mediterraneo, ma, come si sa, gli olivi cambiano adattandosi ai nuovi ambienti, quindi nel tempo assumono una propria identità. Gli oli sono gustosissimi, ricchi di personalità, sapidi, profumati (6).
L’Italia deve piante più olivi, perché è fortemente deficitaria. Più olivi secondo una logica differente rispetto al passato: occorre considerare l’alta densità degli impianti. Nel contempo deve evitare il drammatico fenomeno dell’abbandono degli oliveti. Si abbandona la coltivazione quando questa non è più remunerativa. Per rendere remunerativa una coltivazione occorre modernizzare l’approccio, adottando nuove soluzioni tecnologiche. Ecco, l’Italia ha troppa nostalgia del passato e molto timore nell’affrontare il futuro. Ovunque, ormai in ogni continente, si piantano olivi. Solo in Italia si è perso lo stimolo a investire nell’olivicoltura. Senza olivi, non ci può essere olio.