Di Elisabetta Dall’Ò.
Parigi, “Les Halles”. Siamo al numero 5 di rue Marie Stuart, nel cuore storico dei commerci della capitale francese, pronti per una di quelle cene che promettono di farsi raccontare e ricordare per molto, molto tempo. Siamo in compagnia del forse più grande antropologo vivente, Marc Augé, che mi ha appena concesso un’intervista sulle grandi questioni ambientali ed ecologiche della nostra epoca; questioni di cui mi occupo nei panni di “scienziata sociale” — sono un’antropologa anch’io — e che richiedono riflessioni, ricerche, e interventi su una molteplicità di fronti. Il futuro, quello del nostro pianeta e dei suoi abitanti, è in stretta relazione con le nostre abitudini di consumo; tra tutte, le scelte alimentari potrebbero avere un ruolo decisivo nell’arginare — o al contrario nell’amplificare — fenomeni come il surriscaldamento globale e l’emissione di gas serra nell’atmosfera. Come? La crescita demografica, l’urbanizzazione e l’emergere delle classi medie, stanno incrementato la domanda mondiale di cibo e in particolare quella di proteine di origine animale. Come nota Augé - “anche se non viene detto in maniera esplicita, la demografia è al centro delle preoccupazioni dell’ecologia”; nel 2050 la popolazione mondiale raggiungerà quota 9 miliardi e per soddisfare la richiesta di cibo occorrerà ricorrere a soluzioni alternative alla — poco sostenibile — produzione intensiva di carne. E una risposta possibile, incoraggiata anche dalla FAO, potrebbe arrivare dalla produzione di insetti; molto meno dispendiosa in termini energetici, e sostenibile da un punto di vista ambientale. Ma saremo mai pronti per un cambiamento così epocale delle nostre abitudini (occidentali) alimentari? Siamo qui proprio per scoprirlo. Pronti — chi più, chi meno — a degustare insetti (1), dall’antipasto al dolce, nella minuscola e innovativa "Table d’hôtes Inoveat" (2): un locale con annessa boutique per la vendita al dettaglio di ento-snack, gestito dallo chef “eco-responsabile” Laurent Veyet (3 - Primo da sinistra con l'antropologo Marc Augé), che ci accoglie sulla porta con un sorriso e ci fa subito sentire a casa (cosa non proprio comune nei ristoranti parigini). Entriamo. Tutto qui è “a vista”; una lunga tavolata unisce e integra cucina e commensali, luci, pietre, dispensa, fuochi. E se il passo dai fornelli al piatto è a metri zero, quello che unisce ospiti e padrone di casa è ancora più breve. Non ci si infila in un locale che propone una intera cena a base di insetti senza almeno qualche domanda da tirare fuori al momento opportuno, e noi di domande ne abbiamo tante. Chef Veyet lo sa, e gioca d’anticipo. Parla di passione, di ricerca, di sostenibilità ambientale, di investimenti. Ci racconta di essersi avvicinato a questo mondo un po’ per caso, un po’ per scommessa collaborando con una start-tup francese. Per lui gli insetti sono il futuro, e lui è disposto ad aspettare “il tempo che ci vuole” perché diventino una realtà alimentare. Nel frattempo ci spiega tutto sui produttori da cui si serve e con cui collabora, che lavorano in biologico e in biodinamica, e che mostrano un grande impegno per la sostenibilità ambientale; gli insetti che assaggeremo sono cresciuti a bucce di carote, legumi, e cereali bio in un allevamento di Tolosa. Il sapore è migliore, ci spiega. Poi divertito ci racconta gli aneddoti del mestiere e le domande più imbarazzanti che ancora si sente fare. Su tutte questa: “ma gli insetti che ci cucinate, li raccogliete per strada? Ma li lavate?”. Ci ridiamo su con un filo di imbarazzo... Dopotutto qualche tabù ce lo siamo portato dietro anche noi. Ma siamo qui per metterci alla prova.
E allora ci accomodiamo. In un tavolo che ruota attorno alla presenza di un “mostro sacro” dell’antropologia (4 - Marc Augé con l'antropologa e autrice dell'articolo Elisabetta Dall’Ò), un intellettuale che si è confrontato con tutti i grandi pensatori del nostro tempo, teorico dei non-luoghi e autore, tra gli altri, del celebre “Un etnologo al bistrot”, il resto della brigata si difende come può. Una psicologa, un filosofo, un pedagogista, e io, che ho convinto tutti a seguirmi in questa serata tra amici decisamente fuori dagli schemi. Un piatto dopo l’altro, un insetto dopo l’altro, ci siamo misurati con i nostri pregiudizi, con i nostri limiti, e con i nostri tabù; sul piatto abbiamo anche messo le riflessioni sulle nostre abitudini (di specie e di occidentali etnocentrici), le nostre credenze in fatto di gusto e di disgusto. Questioni complesse, risposte complesse, forse troppo. Ma la lezione di Augé, che a 83 anni non si scompone, osserva e partecipa con attenzione e entusiasmo, è magistrale. Nel piatto ci sono i cibi del futuro. Nel piatto c’è un futuro possibile. E lui di certo non ha paura di osservarlo. Grilli? Larve? Buoni, anzi, buonissimi. Ecco come ridurre tabù alimentari ed etnocentrismo — è il caso di dirlo — in un sol boccone. La cucina dello chef Veyet, poi, aiuta (5). Nessun passaggio è lasciato al caso e la cura per i dettagli è assoluta. Posso assistere a tutte le fasi di preparazione dei piatti (6). Ne approfitto per farmi raccontare qualcosa in più sulle ricette e per “rubarne qualcuna”. L’ispirazione che guida lo chef è la sostenibilità: dall’attenzione per la stagionalità (solo prodotti freschi e di stagione), alla cucina del necessario, anti-spreco, in cui tutto viene utilizzato secondo coscienza. Il risultato è un tripudio di colori e di sapori: Veyet crea per noi un “giardino fiorito” con frutti e verdure buoni e belli da vedere... ma non esiste giardino che si rispetti senza qualche insetto! E allora ecco materializzarsi un grillo che fa capolino da un garofano, una camola guarnire il brocamole (un guacamole a base di broccoli), il tutto su una gustosissima base sablée al Comté, grilli e quinoa. Il piatto è di grande impatto, tanto che persino Augé, seduto di fronte a me, lo fotografa con il suo smartphone e mi sorride. Qui potremmo aprire una discussione interminabile su comunicazione, potenza delle immagini, estetica e new media, ma ci concentriamo sul vino. Brindiamo a questo momento di scoperta e di condivisione con un nettare eccezionale: il Bergerac Château de PEYREL 2013. Un Bordeaux bianco assolutamente atipico (7), prodotto con metodi artigianali (ecologici e buoni per l’ambiente) e invecchiato — e qui sta la particolarità — in botti di rovere provenienti dalla Borgogna. Un vino di grandissima struttura, perfetto per esaltare il sapore degli insetti e, cosa che non guasta, sostenibile anche nel prezzo. Siamo tutti d’accordo: il binomio vini-insetti è imprescindibile, meglio ancora se all’insegna del rispetto dell’ambiente.
Usciamo da questa esperienza entusiasti, appagati, forse cambiati. Ci siamo confrontati con i nostri limiti e abbiamo messo in discussione le nostre convinzioni, il nostro rapporto con il cibo e con la tradizione. Certamente siamo più ricchi, più consapevoli. In una parola: migliori.