Food :: 11 dic 2021

Acquerello, non un riso qualunque…

Dal Piemonte in tutto il mondo, un primato indiscusso

Una specie botanica che si lascia coltivare solo da mani sapienti, il riso. Da tempo il cibo più diffuso sul pianeta oggi prelibatezza gastronomica, spesso protagonista di piatti stellati da nord a sud della penisola. Certo, noi lombardi impariamo ad apprezzare questo alimento tanto semplice quanto ricco di potenzialità ai fornelli, già da lattanti durante lo svezzamento nel biberon con latte vaccino e acqua di riso, appunto. E il resto è storia, una storia dove il risotto ma non solo è simbolo di convivialità per eccellenza. E qui entra in gioco la varietà principe, il Carnaroli: il chicco più amato dagli italiani quando, complice la tipica casseruola in rame, ci si accinge a compiere il miracolo ai fornelli. Un prodigio che chiede dei produttori a monte appassionati e sopratutto vocati a lavorare il riso in modo attento, rigoroso e a basso impatto ambientale. Come succede con Acquerello (1) della Tenuta Colombara nel vercellese, di fatto un big player del settore che, dal 1991 grazie a un’intuizione di Piero Rondolino, crea un riso unico, capace di distinguersi dagli altri per la sua qualità superiore. E lo sanno bene super chef e non che lo scelgono per le loro interpretazioni in carta (2 - 3). In Italia come nel resto del mondo dove è distribuito in ben 59 paesi.

Ma perché Acquerello è un indiscutibile must food? 

Un cereale quello dell’azienda piemontese invecchiato e reintegrato con la sua gemma, tale da essere un riso bianco con le più importanti proprietà nutritive dell’integrale. Un pò come un vino d’annata, il fattore tempo è centrale affinché il riso sia all’altezza delle aspettative, invecchiando da 1 a 7 anni in silos refrigerati. E ancora… Non si contano, negli anni, le occasioni in cui è scelto come testimone del made in Italy: dal Club des Chefs des Chefs, a Slow Food fino all’anno scorso con Masterchef Italia, in qualità di simbolo della risicultura italiana, per citarne solo alcuni.

Dicevamo la ristorazione… Da Davide Oldani a Pasquale Sacco, passando per Eleonora Zilli. Sono tante le firme in cucina che almeno una volta lo hanno “raccontato” secondo loro. E anche il nostro palato in più di un’occasione stampa lo ha riconosciuto (e poi confermato): non ultimo lo chef Claudio Mengoni di Borgo San Jacopo a Firenze. Un Risotto al pecorino di Pienza, cicoria, zafferano e polpettine di Chianina (4), vera apoteosi di gradevolezza abbinato ai prelibati nettari della Pio Cesare (vedi QUI).

Più recentemente, ho voluto degustarlo (5) nel modo forse tra i più semplici ed essenziali, preparando un Risotto bianco e parmigiano. L’essenzialità delle (poche) materie prime, al bando il superfluo, la gestualità attenta di sempre, la cremosità e un chicco che sa dare il meglio di sé in cottura… credo ci sia poco da aggiungere. Se non forse il coté emozionale delle bellissime latte (6) che lo racchiudono: regalatelo a Natale, da solo, con dello zafferano o con un grembiule da “alta cucina”, farete centro, prima alla vista e poi a tavola.

 

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