“L’empatia ci aiuta a dare un significato alle cose” - così ci introduce l’artista iraniano Alireza Mohtashami (1), classe 1993, nato a Tehran ma di base a Firenze, alla sua opera in scena fino al 31 dicembre 2021 nel bucolico podere Belvedere, struttura che fin troppo bene favorisce la composizione di quel puzzle che è il suo immaginario. Un pò personaggio uscito da un film anni ’30, un pò dandy stravagante alla Dalì (2), è un creativo vero, alias liquido, capace di esprimersi attraverso diversi linguaggi, dalle istallazioni, alla fotografia, alla scultura, alla pittura, alla musica, fino alla video arte. “Is it extreme?” la personale di dipinti, fotografie e alcune micro sculture in bronzo trova nei grandi ambienti dal sapore d’antan dell’edificio rurale ritmo, respiro e scenografia giusti per essere condivisi, qualunque sia la risposta dell’avventore. Sì, perché, come afferma Alireza - “L’arte non importa che sia bella o brutta ma l’importante è che dia un’emozione che faccia riflettere”. La riflessione come punto chiave in una condivisione allargata di energie insieme al colore, spesso forte, scelta dovuta anche da una patologia solo apparentemente limitante dell’artista che gli impedisce di distinguere bene alcune cromie. Il pensiero corre a Beethoven che compose la nona sinfonia da sordo. Così Mohtashami percepisce la vibrazione di alcuni colori che in realtà non conosce.
Ma torniamo alla mostra...
L’esposizione si apre con una micro collettiva dedicata alla sua famiglia (3) d’origine, immagini di un tempo anche datate rielaborate e ripensate in post produzione dall’artista. “La parte della mostra a cui sono più legato” - racconta Alireza. Come la madre ritratta in diverse fasi della sua vita, tra cui un selfie ante litteram (4), simbolo di una donna open minded e incline alla curiosità.
“Tutte le mie opere sono una sorta di autoritratto, in un modo o nell’altro” - e questo gruppo di familiari, per primo, sancisce l’esigenza di mettere a nudo la propria personalità, il proprio io profondo. Il tutto accarezzato in sottofondo dalle musiche di Chopin sempre eseguite dell’artista.
Una costante che ritroviamo anche nelle sue creazioni che parlano del primo lockdown: nelle cucine del podere, impera un autoritratto tra l’onirico e l’astratto che rivela il sentire di un momento particolare a tratti “sospeso”, certamente foriero di nuovi progetti. Panacea per un creativo alla ricerca di nuove modalità espressive. E poi ancora quella partecipata emotiva, profonda, vitale, dove gli occhi di un mammifero (5) diventano i suoi “ma potrebbe essere una pianta, una pietra etc…” - precisa l’artista.
Per culminare in un’altra rappresentazione di sé, un autoscatto forte, provocatorio, da cui non si resta indenni. “Né nasco, né muoio” (6), un individuo straziato nel corpo, mutilato, senza arti, cieco, una specie di ameba, fa meditare su quale sia la definizione di essere vivi, una domanda che non ha - almeno oggi giorno - una risposta.
Un campionario selezionato che dimostra l’eclettismo di un artista la cui poetica fatta di turbamenti esistenziali, grandi interrogativi ma anche amore incondizionato per Madre Terra e interesse per questioni come la condizione femminile, la pace o l’identità, scuote, inevitabilmente, le corde di ognuno di noi.
Da non perdere.
“Is it extreme?” (È estremo?) è visibile sino al 31/12/2021 nei giorni di apertura del ristorante, nell'orario antecedente il servizio del pranzo e della cena, previo accordi al nr. +39 333 869 3448.
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