Se vi capita di passare alle porte della splendida Valdorcia, non potete non incappare in una torre industriale certamente “insolita” (1) almeno per il viandante straniero. La zona è quella dell’Isola d’Arbia, lungo la Cassia e la Francigena, e l’imponente cilindro di cemento armato alto ben 70 metri è la “Torre dei pomodori” (2), ex impianto Idit (Industria di Disidratazione Isola Tressa), simbolo di quel boom economico che caratterizzò i primi anni ’60. Inaugurata nel 1961, solamente due furono gli anni di vera e propria attività nei quali la Idit produsse polveri di frutta e ortaggi attraverso un processo di disidratazione a 33°, ma per un probabile difetto di progettazione divenne da subito impossibile sostenere economicamente la produzione che cessò definitivamente nel 1966. Amata da chi ancora oggi la considera una sorta di culto anche se un pò irrazionale proprio per la sua brevissima vita e odiata da coloro che invece la giudicano un orrore - l’ecomostro della Val d’Arbia - capace di arrecare solo disturbo visivo al paesaggio che la ospita, il silos di ferro, vetro e cemento, è il tema della mostra fotografica temporanea ora in scena negli spazi di Santa Maria della Scala.
“L’Industria della polvere”, questo il titolo dell’esposizione monografica (3) godibile fino al 31 gennaio 2022: l’ampia selezione di scatti firmata da Carlo Vigni (4 - Primo da Sx insieme al Sindaco di Siena Luigi De Mossi) accompagna il visitatore all’interno della struttura industriale, vero e proprio “landmark visibile anche da molto lontano” come ben indicato da Giovanna Calvenzi nell’introduzione del catalogo della mostra.
“È da tempo che mi interrogo sulla sorte della torre dei pomodori” - ha raccontato il sindaco di Siena Luigi De Mossi - “Si tratta di un documento industriale assolutamente eccentrico rispetto al nostro territorio, che va valorizzato perché non è altro che un segno urbanistico pregno di suggestioni: è attaccato al futuro ed è legato al passato, un passato che non è mai nato”.
E sono proprio le foto in bianco e nero di Vigni, una sorta di “brutalismo fotografico con tutte le qualità dell’affettività, del sogno e della malinconia” a far riflettere: è necessario demolirlo? E se tuttavia così non fosse, perché lasciare questo “gigante ormai agonizzante” deperire giorno dopo giorno e morire di morte lenta?
Noi ci chiediamo, come molti altri, perché non dare nuova vita a questa struttura sfortunata (5) ma inevitabilmente legata alla memoria di molti, ritrovando quel futuro che non c’è mai stato e riprendendo quel racconto interrotto troppo presto. Certo, le storie saranno diverse, lontane anni luce da quell’Italia di quasi sessant’anni fa che pare un altro mondo, ma nulla toglie che possano svelarsi più interessanti, funzionali alle attuali necessità etc.
Un atto di coraggio verso un oggetto che - come direbbe qualcuno - ha comunque un’anima: la “Torre d’Arbia” (6) merita una seconda opportunità come ipotizzato dalla lungimirante amministrazione comunale senese.
In fondo - “è sufficiente un cambiamento di prospettiva per vedere la luce”, Dan Brown, (Il simbolo perduto).
Meditate gente, meditate…
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