Il museo Masi di Lugano (CH), distintosi sin dalla sua nascita per l’originalità delle sue esposizioni, anche quest'anno non smentisce, portando al grande pubblico un protagonista della fotografia di reportage del novecento, Werner Bischof e un’artista acclamata dell’arte contemporanea, Rita Ackermann.
Aperta sino al 2 luglio, la mostra su Bischof (1) è la prima retrospettiva in assoluto del grande reporter svizzero dedicata alle sue fotografie a colori con 100 stampe digitali (2), da negativi originali, dal 1939 sino alla sua tragica morte nel 1954 a seguito di un incidente in Perù. Conosciuto soprattutto per i suoi scatti in bianco e nero, capaci di cogliere in scatti iconici la testimonianza della guerra e la rappresentazione dell’umanità, il fotografo dimostra altrettanta abilità anche nelle opere a colori, in un’epoca in cui questo mezzo espressivo era usato quasi unicamente a scopi pubblicitari. Un merito da ascrivere totalmente a Bischof, in quanto tutti i grandi, a partire dai membri dell’agenzia Magnum, hanno sempre preferito il bianco e nero per i reportage sia di viaggio, sia di guerra. Il pregio della mostra è quello di aver recuperato questi scatti, in ordine cronologico, accompagnandoli con le macchine fotografiche da lui usate, una Rolleiflex, una Leica è una Devin tri-color, macchina ingombrante meno conosciuta, ma che permetteva per l’epoca, col sistema della tricromia, una resa del colore di alta qualità. Partendo da nature morte, composizioni astratte e scatti di moda, il percorso espositivo prende un diverso indirizzo, durante la seconda guerra mondiale e l’immediato dopoguerra quando l’artista decide di documentare lo scempio delle città distrutte dai bombardamenti (3) e l’umanità dolente dei profughi, in particolare dei bambini, con immagini che rendono ancora oggi fortemente impattanti le sue foto. Per i suoi meriti di documentarista della realtà, entra a far parte della Magnum ed inizia una serie di viaggi prima in Europa, poi in Giappone per poi dedicarsi alle Americhe, sino al suo incidente dove troverà la morte. Una mostra da vedere per capire quanta forza può avere un’immagine, nel cogliere un attimo irripetibile.
La seconda mostra del Masi, aperta fino al 13 agosto, presenta una protagonista dell’arte contemporanea, Rita Ackermann (4), da noi poco conosciuta, attraverso una retrospettiva degli ultimi 30 anni di carriera. Nata a Budapest nel 1968, residente a New York, connota la sua pittura con un impatto fortemente politico e femminista, per giungere con le opere recenti, esposte qui per la prima volta, ad un grido di denuncia contro la guerra. Partita da un approccio figurativo, l’artista tende a spostarsi progressivamente verso l’astrazione, cui però non manca mai un riferimento all’attualità in disegni di figura presenti (5) all’interno dei quadri. Concentrandosi sull’atto di dipingere, immergendosi nella materialità della pittura, l’artista crea composizioni che si scompongono e ricompongono in segni (6), trasmettendo una notevole forza espressiva. Un approccio originale in cui i dipinti non sono né realisti, né astratti ma è proprio nel connubio di questi due stili che assumono una grande potenza. Ancora una volta il Museo Masi, si dimostra una delle realtà più interessanti a livello europeo per le scelte operate nel suo palinsesto espositivo.
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