“E noi non sa da fare nulla per la nostra povera Firenze?” disse con decisione il Burgassi al giovane aiutante Luciano.
La Seconda Guerra Mondiale era quasi giunta al termine. Le truppe alleate avanzavano inesorabilmente. Era la notte del 3 agosto. “La notte delle mine”. “Eravamo ammassati nelle limonaie di Boboli. Avevamo poco più di vent’anni. Il gelo nelle ossa. La paura nel cuore" - racconta oggi, 26 ottobre, Lucia Barocchi (1 - Seconda da SX), elegante anziana signora, in occasione della presentazione di “Di pietra e d'oro. Il Ponte Vecchio di Firenze. Sette secoli di storia e di arte” (2) e “Documento Alluvione 1966-2016”, nel Salone dei 500 a Palazzo Vecchio. Quella notte, la storica e nobile fisionomia di Firenze sarebbe potuta cambiare per sempre. Hitler era risoluto: tutti i ponti della città dovevano essere abbattuti. E così fu. Fino ad arrivare a quello di Santa Trinità. Unico vero superstite tra cocci e macerie: il Ponte Vecchio, simbolo della resilienza del popolo fiorentino e non solo.
Fu Gerhard Wolf – il generale in capo tedesco a Firenze - a salvare il ponte dalla distruzione. Ma le cose andarono davvero così?
Lucia Barocchi, allora ventunenne, rivela ai posteri il suo segreto. In anni di attività presso una delle storiche botteghe orafe del Ponte, entrò in amicizia con il Burgassi. “Brutto, storpio, ma molto intelligente”. Durante la guerra con impegno e devozione apriva e chiudeva le botteghe. A causa della sua deformità, le truppe tedesche gli lasciavano molta libertà. Era innocuo, d’altronde.
A salvare il simbolo di Firenze in quella tragica notte fu proprio lui. L’unico a sapere che a Borgo San Jacopo vi erano nascosti i raccordi dei fili che collegavano le mine posizionate in giro per la città e alla base del Ponte. Con gesto eroico ed umile, li staccò. Il Ponte, emblema di Firenze, fu salvo.
Ancora oggi possiamo ammirare il simbolo della forza, della resistenza e della tempra fiorentina grazie al coraggio di un uomo che la storia non ricorda, ma il Ponte Vecchio sì.