Di Elisabetta Dall'O.
All’indomani della più “sostenibile” delle edizioni di Terra Madre, svoltasi a Torino dal 20 al 24 settembre — e dedicata al food for change, ovvero alla relazione tra cibo e cambiamento climatico —, in cui non sono mancati ricchissimi spunti e focus tematici sul futuro del nostro pianeta, della produzione alimentare, e dei consumi, condivido con voi un approfondimento dedicato al mondo del vino, protagonista e testimone — suo malgrado — di nuovi e delicati scenari planetari (1 - 2).
Vino e sostenibilità sono oggi un binomio inscindibile per un consumo consapevole, che punti al gusto e alla salute, nel pieno rispetto dell’ambiente, della biodiversità, della terra, e di chi con la terra ci lavora. Il Salone del Gusto ha proposto una vasta gamma di eccellenze, che dai confini nazionali abbracciano l’Europa del nord, il mediterraneo, fino ad arrivare alla Georgia e al Libano. Interessante la declinazione, tutta al femminile, della Barbera, vino rosso piemontese per eccellenza, proposto in un laboratorio che ha guidato il “consumatore” a cogliere le differenze tra i due diversi territori che lo caratterizzano: quello di Asti e quello d’Alba. Vini (3 - 4) dunque che partono dallo stesso vitigno ma che, grazie a terroir diversi, offrono caratteristiche uniche. E qui i cambiamenti climatici hanno giocato — e lo faranno sempre più — un ruolo decisivo: dal 1997, annata che segna una prima forte anomalia nelle temperature estive (aumentate rispetto ai decenni precedenti), fino ad un incremento progressivo e costante che sta avvenendo da dieci anni a questa parte. Tutto cambia rapidamente: la quantità delle piogge, le gelate primaverili, l’imprevedibilità delle grandinate, i periodi delle vendemmie, e occorre adattarsi, occorre saper leggere il territorio e coglierne i bisogni, i rischi, ma anche le risorse e il potenziale.
Analogamente, il Morellino — e qui siamo in Toscana, in Maremma — sta vivendo un decennio di cambiamenti all’insegna dell’imprevedibilità climatica e dell’adattamento. Molto buone le etichette in assaggio al salone.
Tra le proposte d’oltralpe merita una menzione speciale il focus sui vini di Corsica della denominazione Patrimonio, la più prestigiosa dell’isola (421 ettari) che si estende ai piedi del Capo Corso e del Golfo di Saint Florent; un territorio che gode di condizioni climatiche eccezionali, con una forte escursione termica tra giorno e notte, e con terroir molto variegati che abbracciano insieme e ricordano le caratteristiche della Toscana e della Liguria.
La grande chiusura del Salone, con l’ultimo laboratorio enologico sulle eccellenze italiane, è stata dedicata al più elegante dei vini piemontesi: il Barolo, l’espressione di un connubio inscindibile tra vitigno e territorio. Qui una sola annata, quella del 2010, è stata declinata in otto vini, provenienti dagli otto Comuni d’elezione della denominazione: La Morra, Verduno, Cannubi, Ravera, Castiglione Falletto, Monforte d’Alba, Serralunga d’Alba, e Grinzane Cavour. Otto vini diversi, otto territori diversi, tutti accomunati dalla ricchezza e dallo straordinario valore di far parte di una cultura — italiana, piemontese, e langhigiana — che è (senza retorica) patrimonio dell’umanità. L’arte del vino richiede esperienza, attenzione, memoria storica e capacità di interpretare gli scenari futuri. Un lavoro che non è solo “conservazione”, perché tutto muta sotto ai nostri occhi, ma che è anche, e soprattutto, “innovazione”; la capacità di trovare nuove risorse, nuove soluzioni attraverso il cambiamento. Allora è dalla vigna, dal campo, che parte il primo atto concreto per la salvaguardia di quel tesoro di eccellenze e di diversità che sono i terroir (terreni e territori) della nostra e di altre culture.