Living & Convivi :: 31 mar 2017

salone del mobile 2017 e dintorni

Oscar Niemeyer: le linee della bellezza

La vendetta è un piatto che va gustato freddo. Persino post-mortem. Deve aver pensato il così vecchio compagno Oscar Niemeyer, quando ha infestatori fantasmi il palazzo dell’Alvorada di Brasilia (1). Al punto da non far dormire il presidente Michel Temer, conservatore o… peggio e la sua moglie, che già su quella residenza magnifica sul lago Paranoa’ aveva già detto la sua: via i tappeti rossi, i divani neri, che l’architetto aveva scelto con tanta cura e amore.

Cura e amore, che insieme alla passione e alla fantasia, all’impegno politico e umano hanno reso il carioca Oscar (2) uno dei grandi brasiliani del Novecento. E non soltanto, certo, per l’Architettura.

I graffi, fatti di linee essenziali, pulite e traccianti, Oscar non li ha lasciati soltanto sul foglio bianco, sull’orizzonte azzurro di Brasilia, Rio, Milano e Parigi, ma soprattutto nell’animo delle persone. E sono graffi eterni, ché “l’architettura è solo un pretesto. Importante è la vita, importante è l’uomo, questo strano animale che possiede anima e sentimento, e fame di giustizia e bellezza”, ha scritto è diventato il suo testamento letterario, “Il mondo è ingiusto” .

Proporzione e armonia, alternanza di linee rette e di curve, selvaggia natura e compostezza culturale, nessuna paura, anzi al contrario, amore per le differenze, non sono i semplici dettami della sua grande architettura ma ancor più le coordinate di vita di un grande uomo, militante convinto, ribelle impenitente fino a 104 anni, sempre affamato di giustizia oltre che di bellezza.

Niemeyer, nato a Rio nel 1907 e morto, sempre nella città carioca, nel 2012, è un uomo che ha sposato poesia ed efficienza, natura e bellezza, cemento e vuoto.

Un alieno in grado costruire una città spaziale, dal nulla, e farla diventare una capitale. I palazzi del governo, la residenza presidenziale (quella dei fantasmi), strade senza incroci: l’utopia fattasi urbe, è Brasilia 1961, è il Tropicalismo che si fa cemento, vetro, geometria.

Oscar era uno che cambiava: le regole, le cose, il modo di pensare. Capace di frasi di una semplicità disarmante - “il capitalismo è uno schifo, perché significa che qualcuno ha tutto e qualcun altro niente” - ma che in bocca a lui avevano l’effetto di un dardo scagliato da un profeta, di una massi,a pronunciata da un guru.

Tra le opere più belle e importanti – e sì che ne ha fatte tante e meravigliose, dalla chiesa di San Francesco d’Assisi a Belo Horizonte alla sede delle Nazioni Unite di New York, dalla Cattedrale al il palazzo del Congresso di Brasilia, dall’Auditorium di Ravello al palazzo Mondadori di Milano, forse quella più significativa è una delle ultime, il museo di Arte Contemporanea di Noteroi, città che si affaccia davanti a Rio, dall’altra parte della Baia di Guanabara. Costruì questa avveniristica navicella nel 1996, quando aveva 89 anni di età: la fantasia di un bambino, lo scherzo di un giovanotto, il coraggio di un guerriero e non la pacatezza di un saggio. Non importa quasi a nessuno che cosa ci sia dentro, a quel museo: importano gli scorci impagabili su Rio, il fascino estremo, postmoderno, lineare, elegantissimo di una costruzione che pare tante cose. Una navicella spaziale, abbiamo detto, ma anche un fungo di cemento, un monumento all’arte, un involucro che vive di spazio, di luce, di aria. Della sua freschezza di scultore, di poeta, di narratore.

Un uomo che ha attraversato il XX secolo con una dignità e una genialità artistica rare, ma anche con un’umiltà tutta speciale tant’è vero che amava definirsi um bichinho, ovvero “un animaletto”, perché così si sentiva - un niente - di fronte alla grandezza dell’universo.

Da ragazzo partecipò della vita bohémien di Rio, iniziò lavorando nello studio di architettura di Lúcio Costa e Carlos Leão, due grandi, conobbe presto Le Corbusier, punto di riferimento dell’architettura dell’epoca, sposò, con entusiasmo trascinante, il comunismo, che gli costerà tanto ai tempi della dittatura militare. La sua abitazione, la Casa das Canoas, immersa nella foresta, è uno straordinario unicum. Lo rappresenta bene. Città e verde, curve e linee rette, fantasia e rigore. Anzi la fantasia del rigore: nulla stonava in lui, in Oscar, ancora vivo, vivissimo, come vivi, in movimento, sono i suoi monumenti. Che ci ballano davanti, belli e fieri come solo i cariocas sanno essere e come loro selvaggi, orgogliosi, meticci.

Di altri inventori di futuro avrebbe bisogno il mondo. Di altri bambini, di altri “animaletti” che, come Oscar, ci diano lezioni di bellezza.

Un grande del passato. E di sempre.

Ora i nuovi fermenti dell'architettura brasiliana ci danno appuntamento al Salone del Mobile di Milano, ormai alle porte, con protagonisti come Butzke, azienda leader nella produzione dell'outdoor d'eccellenza.

Andiamo a scoprirli (3)...

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