Alessandria (1) e lo scrittore famoso, tra i più celebrati al mondo. Un libro - Chi leggeva Umberto Eco? (2) - a quasi un anno dalla sua morte, esamina il rapporto controverso tra il semiologo e i suoi selvaggi e diffidenti concittadini...
Ammirato, temuto, ma tutto sommato poco letto. Grande studioso e saggista, etnografo mancato, per via di quello sguardo acuminato e interprete di ogni realtà. Umberto Eco (3) è stato tutto questo. Per il mondo e per gli alessandrini. Si, perché è di questo che si parla nel vivacissimo e appassionato libro – strano per chi, da buon alessandrino non dovrebbe essere né vivace né appassionato - di Riccardo Motta.
Intendiamoci: “niente studi critici alla memoria per almeno un decennio”: qui si rispetta eccome il volere del semiologo-professore-saggista-romanziere; piuttosto si esamina quel rapporto contrastato tra una città di provincia uno dei suoi figli più celebri di sempre. Una criticità di rapporti che ha una data di inizio: 19 febbraio 1967, grazie o a causa di un articolo uscito su L’Espresso e intitolato "Pochi clamori tra la Bormida e il Tanaro". Di Alessandria (4) Eco scrive: "Sfiducia nel mistero. Diffidenza per il Noumeno. Una città senza ideali e senza passioni. Nell’epoca in cui il nepotismo era una virtù, Pio V, papa alessandrino, caccia i parenti da Roma e dice che si arrangino. Gli alessandrini non si sono mai entusiasmati per nessuna Virtù Eroica … non ha mai avuto nulla da insegnare alle genti, nulla per cui debbano andar fieri i suoi figli, dei quali essa non si è mai preoccupata di andar fiera …”. Eco aveva insomma punzecchiato l’indole apatica e catatonica degli alessandrini, attraverso attente analisi comportamentali delle loro attitudini e abitudini. Quasi presentisse il degrado dei tempi futuri.
Che avesse ragione o meno, a Motta – e a molti altri - è quindi parso perlomeno strano il rimpianto tardivo, e tutto sommato, incomprensibile degli alessandrini per la morte del “professur”, datata 19 febbraio 2016. Il fatto è che Eco era un “… autore realmente letto e compreso in fondo soltanto da pochissimi privilegiati”. Come poteva piacere il suo stile sontuoso ed erudito, come poteva appassionare le sue frasi lunghe, circonvolute e imbottite di citazioni colte pagine, per quanto capolavori di architettura grammaticale e sintattica?
Era bello, “faceva figo” comprare i libri di Eco, e conservarli in bella mostra senza mai aprirli. Chissà se questo rapporto era dovuto all’intrinseca incapacità dell’autore de “Il nome della rosa” e de “Il pendolo di Foucault” di “calarsi nella parte” e di incontrare i gusti dei lettori medi e del grande pubblico, oppure a quel “vizio d’origine” a quell’accusa, a quel marchio affibbiato all’alessandrinità ovvero a quel greve spirito di subcultura provinciale chiusa, diffidente, schiva, pettegola e invidiosa. Del resto il motto della città, Deprimit elatos, levat Alexandria stratos, “Alessandria umilia i superbi ed esalta gli umili”, è un manifesto programmatico: i fenomeni vanno dirottati altrove, perché chi ha doti eccezionali infastidisce oltremodo. È successo a un imberbe Gianni Rivera, e per i gloriosi Grigi, la squadra di calcio locale, il destino è sempre quello di scontare molti, persino nelle stagioni più trionfali. Motta, che si definisce “alessandrino atipico perché di origine emiliana ma comunque pigro e scorbutico” si diverte a inserire nel libro emozioni, ricordi, sensazioni personali, a cominciare dal controverso rapporto della città con i fiumi, il Tanaro e la Bormida, che ne hanno segnato fortune e sventure. Resta un pretesto, la morte di Eco, per parlare della passività intellettuale di una città tutto sommato unica, timida, schiva, diffidente, un poco catatonica. Sempre polemica.
Una barzelletta, che ha molte varianti, racconta bene questo understatement. Gesù Cristo arriva sul fiume Tanaro e comincia a camminare sulle acque. I pescatori, attoniti, lo osservano per un po’, si scambiano sguardi e alla fine uno di loro prende coraggio e dice: “Dì, buon uomo, guarda che se continui così non imparerai mai a nuotare”. Si dice anche, “non essere mai contenti, neppure di avere avuto Eco (e Rivera) come concittadini …
Chi leggeva Umberto Eco?
Aurore: Riccardo Motta
Editore: Nuova Trauben, Torino, 2016
Pagg: 240 pagine
Prezzo al pubblico: 18 euro.