Un tempo erano zebre, diavoli, ciucci e lupe. Biscioni, orsi e grifoni. La penna inimitabile di Carlin Bergoglio disegnava queste figure semimitologiche e il tifoso era felice. Si riconosceva in un’identità chiara, condivisa, e fa niente se il demonio, in realtà, era inviso ai cattolici e la lupa – metafora della allattatrice vagabonda – avrebbe potuto disgustare i moralisti.
Lunedì sera, a sorpresa, e per di più nella “nemica” città di Milano, la Juventus (1) ha presentato il proprio nuovo logo (2) semplice, lineare, stilizzato. Che sembra inneggiare all’Oriente a uno stile Zen, a un nuovo ordine mondiale. “Per esser al passo con i tempi”, “per aprirsi ai mercati internazionali”, “perché vogliamo essere i primi anche nel marketing” “perché vogliamo crescere: crescere vincendo, crescere comunicando ed evolvendo il brand” - dicono alla Juve (3).
Naturalmente, detrattori di professione – i tifosi storicamente rivali - occasionali – gli innamorati dei tempi eroici – contingenti – sacrosanto è e sarà sempre il diritto di critica - si sono scagliati contro la nuova “J” di cui, dicono, non si sentiva la mancanza.
Esercizio di relativismo, di globalizzazione applicata, di modernità. Allora, vogliamo, noi italiani, che le nostre squadre sappiano competere con i cinesi, gli inglesi, gli americani, gli spagnoli e i tedeschi eppure si è sempre legati al campanile. Mandiamo i figli a Londra, mangiamo sushi e kebab, ma ma non vogliamo stranieri sul nostro territorio. La Juve ha più tifosi al sud che a Torino, ma a tanti manca eccome, quel torello che rappresenta la città. Ancora, ci piacciono i campioni d’ogni dove, non i profughi. Vogliamo colore e calore, ma non sopportiamo Maradona e le sue “sante” apparizioni, a meno di non tifare per il Napoli. A proposito di Napoli e del suo ciucco, che orgoglio, vero, essere rappresentati da un asino? I tifosi avversari, quando vengono al “Moccagatta” di Alessandria, intonano “solo la nebbia, avete solo la nebbia” oppure “grigi siete e grigi resterete”, non sanno, questi sprovveduti, che qui la nebbia protegge e culla e che il grigio è il colore più bello del mondo, il più elegante, il più… unico.
Ecco nel calcio, ma anche nella vita, la nostra visione, la nostra postura intellettuale è questa: credere di essere sempre nel giusto sentenziare – tanto più oggi che c’è la libertà spropositata dei social – e più spesso ancora insultare. Tutto questo in nome della superiorità della nostra cultura (leggi: della nostra fede, calcistica o politica), della nostra presunta intelligenza, del nostro conformismo.
Ora, che piaccia o meno, il logo della Juve non è importante: di rilievo è il solito balletto di insulti, ironie, volgarità, perplessità. In buona fede si può eccome, dissentire: altro è cadere nel becero e ben conosciuto pregiudizio. Ecco che il calcio, ancora una volta, e in maniera non banale, ci aiuta a leggere le dinamiche che appartengono alla nostra società.