Living & Convivi :: 20 gen 2017

Gran Sasso e i sopravvissuti

I sommersi, i salvati e gli sciacalli

Gran Sasso, Italia centrale e Canale di Sicilia, Mar Mediterraneo. In questo momento non sappiamo neppure chi sia e che nome abbia quel bambino strappato alla neve e alla tragedia. Ci ricorda quei bambini - tanti non ce la fanno - strappati alle onde del mare (1). Ricordano dei parti questi salvataggi, delle resurrezioni, delle rinascite alla vita. Bambini bianchi e bambini neri che saranno gli italiani di domani (2). Se non piangi ora di che pianger suoli, direbbe il Poeta. Uomini e donne eroici, volenterosi, infaticabili e bistrattati dalle istituzioni e più ancora, da noi tutti, che strappano gente alla vita. Riflettere si può, riflettere si deve, senza cadere nella retorica o in quell’odiosa e quotidiano compiacimento della tv del dolore. Già, è doveroso pensare che il bene più grande che possiede l’umanità è l’umanità stessa, il sorriso del sacrificio, il piacere dell’altruismo, la pienezza della solidarietà.

La natura, come abbiamo visto già tante volte, anche in questo già tragico 2017, non la possiamo dominare (3), come nemmeno potremmo fermare l’onda di uomini come noi (sì, come noi) che sbarcano sulle nostre coste. Organizzare però sì, possiamo, così come progettare, preparare, insegnare, imparare. Leggere, ecco, leggere gente come Baumann, Soyinka ad esempio: perché c’è soltanto una cosa più odiosa dell’ostentare il proprio (presunto) sapere, ed è il compiacimento della propria ignoranza.

Ora, che la nostra Italia, la nostra Europa e il nostro mondo diventeranno multicolori, meticci, ibridi, sincretici non è soltanto auspicabile, è semplicemente inevitabile. Le nostre figlie – è già scritto – si sposeranno uomini che vengono da lontano, e i nostri eredi maschi perderanno la testa per donne che qualcuno, ancora oggi, e impunito, definisce “oranghi”.

“Perché non mandiamo i profughi a fare lavori utili”, dicono in tanti, in buona o in cattiva fede; certo che si dovrebbe, ma non per astio, vendetta, invidia o perché “prima dobbiamo pensare agli italiani”, ma perché questa strategia preparerebbe il terreno, fisico e metaforico, del nostro futuro.

Mettere in sicurezza il territorio, lavorare per il nostro futuro condiviso, creare un mondo solidale è un dovere, ma è soprattutto un’opportunità per sensibilizzare tutti i nuovi italiani, compresi quelli che arrivano da lontano.

Quel bambino strappato alla neve e quegli altri, salvati dalle onde, ci richiameranno sempre a questo compito. Altro che “buonismo”: il mondo si salverà soltanto allungando una mano al fratello sofferente. Lo diceva già qualcuno. Era straniero, era povero, era rivoluzionario.

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