L’occasione per l’inaugurazione di una mostra (1) molto toccante e significativa è il 25 novembre, alias Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Siamo al Museo Novecento Firenze e qui va in scena il progetto ST.JAVELIN, l’ultima serie fotografica dell’artista multidisciplinare tedesca Julia Krahn (2) in cui invita le donne ucraine rifugiate a raccontarsi attraverso immagini (3) e interviste. L'esposizione prende appunto il nome da Saint Javelin, un’immagine nata e diffusa durante la guerra in Ucraina raffigurante la Madonna con in braccio un missile anticarro, lo javelin, simbolo della resistenza. La nuova iconografia di una madre armata ribalta quella di Maria che sostiene in braccio suo Figlio, richiamando alla mente la morte e la violenza più che la vita e l’amore. Nel loggiato esterno del Museo Novecento sventolano, così, dieci bandiere (4) recanti i ritratti di donne ucraine rifugiate, sorta di icone laiche che si impongono nello spazio con tutta la forza e la dignità del messaggio che veicolano, un messaggio di resistenza e di pace (5). E’ presente anche un autoritratto dell’artista, immortalata mentre stringe in mano la sua arma, la macchina fotografica, che invita le rifugiate a fare lo stesso, descrivendo le proprie armi di resistenza quotidiana, fatte per costruire e mai per distruggere.
“Le dieci bandiere realizzate da Julia Krahn e dedicate alle storie di altrettante donne ucraine rifugiate entrano così nel vivo dei drammatici eventi del nostro tempo, che vedono vittime della disumana barbarie della guerra, ancora una volta, le donne. Tuttavia, le donne sono anche protagoniste di una caparbia resistenza, impegnate a contrastare la violenza perpetrata nei confronti della propria storia personale, della propria casa, del mondo familiare assieme al proprio corpo. Ognuna di queste donne ha qualcosa da raccontare e Julia Krahn è riuscita a restituire il senso sacrale a una serie di ritratti del presente ricorrendo alla più antica delle iconografie religiose, la Madonna con Bambino, connotata oggi di altri simboli e messaggi. Il museo e l’arte si addentrano così nella cronaca e cercano di far riflettere ‘davanti al dolore degli altri’, per citare un celebre scritto di Susan Sontag dedicato al nostro tempo e al rapporto tra dolore, opere d’arte e immagini di guerra. Julia Krahn non ci offre la parte più violenta della guerra, ma trasforma in eroine e sante queste figure femminili”.
“Quando l’arte si fa portavoce di battaglie importanti sul fronte dei diritti riesce a propagare messaggi universali e ad arrivare con forza alle persone. Così fa questo lavoro di Julia Krahn che unisce alla denuncia di ogni forma di violenza e discriminazione di genere, il dramma della guerra in Ucraina” - hanno detto la vicesindaca e assessora alla Cultura Alessia Bettini e l'assessora ai Diritti e Pari Opportunità Benedetta Albanese.
Una seconda installazione è visibile nel loggiato interno al primo piano del museo, dove è esposta la serie Die Taube, che presenta otto fotografie stampate su carta per affissione (affiches) e riprodotte in grande formato. In Die Taube l’artista torna sul tema sacro dell'Ultima Cena, cui si dedica fin dal 2010, e attraverso la metamorfosi di un piccione in colomba bianca, poi macchiata di un rosso intenso (6), ripercorre la pratica dei sacrifici antichi. Le immagini, grazie ad un immediato richiamo spirituale e al simbolismo cristiano instaurano un vivo dialogo con il loggiato, in passato dedicato al ritiro e alla meditazione, e allo stesso tempo invocano, come le donne ucraine ritratte nelle vele al piano terra, un chiaro messaggio di speranza, di trasformazione e di passaggio verso una nuova convivenza.
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