A giocarsi la finale saranno quindi Portogallo, Galles, Germania (1) e Francia. Per quello che ironicamente, anzi goliardicamente, è stato definito un programma da…pollaio. “Galles”, Porto”gallo”, i “galletti” francesi e quelli…”amburghesi”.
Parlando seriamente, eccole le protagoniste delle semifinali. Il Portogallo dei 5 pareggi, 5 tramutati poi in vittorie sul filo di lana, nei supplementari contro la Croazia e ai rigori contro la Polonia, il Portogallo di un Ronaldo finora intermittente e di un gioiello abbagliante, Renato Sanches; il Galles del fenomeno Bale ma ancor di più del coraggio, dello spirito di squadra, dell’ostinazione a non completare quel doloroso Brexit - politico ma anche sportivo - che si è compiuto nel corso di queste settimane; la Germania campione del mondo, forte, quadrata, umile e nonostante ciò incapace, se non con i rigori a oltranza, di battere quell’Italia che sembrava un’Italietta e invece ha mostrato un cuore grande così; e, infine, la Francia, in crescendo, grazie ai suoi gioiellini Pogba, Griezmann e Payet, che schiantato l’eroica Isalnda, che aveva fatto innamorare tutti, grazie alla sua ingenuità, purezza, irrealistica presenza.
Veniamo a noi: la squadra – non la selezione – di Antonio Conte, ha ridato orgoglio e felicità a tutto un movimento. Già in partenza priva di fuoriclasse, fatta eccezione per Buffon, gli azzurri sono stati decimati, alla vigilia e nel corso delle partite, dagli infortuni. Leggiamo i nomi del nostro centrocampo che ha sfidato i tedeschi, che meno di due anni fa avevano battuto il Brasile 7 a 1 a casa loro: Parolo, Sturaro, Giaccherini. Ottimi calciatori, ma riserve oppure punti cardine di squadre italiane di media classifica. Eppure l’organizzazione, l’applicazione, lo spirito di squadra, il coraggio e l’orgoglio trasmessi a tutti gli azzurri dal nostro commissario tecnico (eccolo, il nostro vero fuoriclasse) ha fatto aumentare stima, considerazione, rispetto e ammirazione. I tedeschi, per batterci, anzi, per “pareggiarci” hanno cambiato modulo, atteggiamento, abitudini.
Lascia un seme d’oro, Conte. Ma si sa, dall’autunno prossimo, quando ripartiranno le qualificazioni per il Mondiale del 2018, quando la Nazionale tornerà in concorrenza con i club, quando l’interesse dei dirigenti e dei tifosi torneranno a rivolgersi al particolare del nostro campionato, ci dimenticheremo di tutto. O forse no, e sarebbe davvero auspicabile: bisogna tornare ad amarla questa nazionale, questa maglia, questi splendidi azzurri. E allora, per una volta diciamolo senza pudore, “grazie Conte, grazie Italia”.