È un po’ un peccato che l’Islanda ci abbia rubato la scena. L’Islanda – “un paese che ha più geyser che calciatori”, come ha detto l’ex campione Garry Lineker – che ha fatto fuori l’Inghilterra, per una Brexit sportiva sicuramente anch’essa dolorosa. Peccato, ma l’impresa eroica degli azzurri, in grado di annientare le Furie rosse spagnole, bi-campioni europee, resta. Con un unico, straordinario protagonista, Antonio Conte (2), capace di stupire chi, da antijuventino praticante, non lo conosceva, o non lo voleva conoscere. Antipatico, vittimista, fazioso, fissato e integralista, così veniva definito dai commenti più benevoli. Invece, lui, Antonio da Lecce, ha saputo far innamorare di sé e di quella maglia calciatori, magazzinieri, massaggiatori e soprattutto tifosi. E un paese intero, che grida, oggi, “godemos e“podemos”.
Non fosse che la cabala conta, nel calcio e non solo, la partita di sabato 2 luglio, contro la Germania (1), che ci teme, ci soffre e finora, nei grandi confronti europei e mondiali è uscita sempre sconfitta contro di noi, potrebbe essere considerata come una tappa di passaggio verso il trionfo. E invece loro sono fortissimi, ibridi e meticci come sono diventati. Giovani, e per di più, campioni del mondo in carica. Ma l’onda d’urto di un’Italia di sacrificio e lotta, capace di orgoglio e di bel gioco, di ficcanti verticalizzazioni – altro che difesa a oltranza, altro che palleggio orizzontale – e in grado di gettare il cuore oltre l’ostacolo, resterà a consolarci di ogni eventuale prossima sconfitta. Perché l’Europeo 2016 l’abbiamo già vinto. Lungi l’idea dell’appagamento: si tratta di aver ritrovato una squadra, un sentimento, una passione, un’identità. Vero, Conte, appena (ri)scoperto, l’abbiamo già perso; ma il seme d’oro che ha gettato su un terreno che pensavamo arido – lo scarso livello tecnico di un movimento – deve restare a dare frutti.
Ora, con noi e i tedeschi, sono rimasti in lizza Polonia e Portogallo, Galles e Belgio, Francia e Islanda: come e perché non sognare? Non siamo allora così scarsi: Giaccherini, se solo si chiamasse Giaccherinho, quanto milioni ce lo farebbero pagare? E De Sciglio che contro la Germania ha giocato la migliore gara della sua carriera, e Florenzi, Pellé, Eder, gli immarcescibili Barzagli e Chiellini, il muro Buffon, l’elegante Bonucci, miglior difensore del torneo fino a oggi?
Sempre così. Siamo brutti, sporchi e cattivi, reietti e vigliacchi, subdoli e truffatori – così di solito ci vedono gli altri – e poi miracolosamente siamo in grado di stupire, di accendere entusiasmi, di suscitare ammirazione, grazie all’eroismo semplice, banale, quotidiano del lavoratore, dell’artigiano. Magia del calcio magister vitae, metafora e specchio di una nazione, di ogni cultura. Anche in momenti cupi. Potere del calcio e dello sport: farci trepidare e sorridere, regalarci emozioni, ridarci una speranza. Come diceva quello? “… vabbè non è cambia la mia vita se vince la mia squadra, ma perché, se perde che ci guadagno?”. Con altre parole lo dice anche lo scrittore Don De Lillo, riferendosi al baseball e allo sport in generale: “Il gioco non cambia il modo in cui dormi o ti lavi la faccia o mangi. Ti cambia soltanto la vita”. E che vi perdete scettici di professioni, a non appassionarvi al calcio, a non trepidare con noi per questi azzurri …