Iniziamo con alcuni Pizza Facts per far capire meglio quanto importante sia la pizza (1):
A. La pizza napoletana è stata candidata all’Unesco come patrimonio immateriale dell’umanità. Il 4 dicembre in Corea del sud si saprà la decisione dell’Unesco, noi tifiamo Italia ovviamente. La pizza non rappresenta solo un cibo ma anche storia, cultura, saperi, ideologie e saper fare insomma. Parola anche di antropologa.
B. Persino la Guida Michelin da qualche anno si è accorta delle pizzerie blasonate e le segnala nella mitica Rossa. Ormai da anni diverse Guide gastronomiche si sono specializzate in tale senso ed elencano le migliori pizzerie, le più creative e quelle che usano ingredienti di qualità ed eccellenze: guide ed eventi correlati che vendono bene e macinano ricavi, perché c’è fame di pizza buona, di qualità, d’autore.
C. Ogni giorno in Italia si sfornano circa 5 milioni di pizze nelle circa 63.000 pizzerie e locali per l'asporto, taglio e trasporto a domicilio (fonte rainews.it). Un fenomeno silenzioso ma che incide profondamente su ciò che siamo, se è vero che siamo… ciò che mangiamo.
D. A proposito di identità: la parola pizza è una delle parole italiane più conosciute nel mondo e rappresenta per quasi il 40% degli italiani il simbolo dell’italica gastronomia.
Molto importante quindi il Focus sulla pizza di qualità che si è svolto ieri (26 novembre) al Festival Scirarindi, e che vedeva la partecipazione di quattro dei protagonisti della pizza italiana, tutti e quattro sardi: Massimo Bosco patron della Pizzeria Bosco, premiato con le tre rotelle dalla Guida del Gambero Rosso, Pierluigi Fais, patron di Framento, vincitore dei tre spicchi e miglior pizza con la sua "immuginazione”, e poi Gabriele Valdès, guru dei corsi e delle consulenze e infine Stefano Pibi, mago dei (grandi) lievitati, tutti, e indubbio influencer (2 - 3).
Vista una indisposizione di Pierluigi è intervenuto il suo babbo, Giovanni Fais, con le sagge parole di chi si occupa da sempre di turismo e ristorazione e ha uno sguardo lungo e ampio, per età ed esperienza.
La mia prima domanda era semplice: “come deve essere una pizza di qualità?”
I punti numerati li ho aggiunti io per cercare di strutturare il vademecum che è emerso, forte e chiaro a mio parere, dalla nostra conversazione a cinque voci, con l’apporto di un pubblico attento e pieno di personalità.
Gabriele Valdès ha messo al primo posto la 1. struttura della pizza (4), perché, ha detto, è il primo morso quello che conta, e poi le 2. materie prime del topping, che devono essere in equilibrio. Inutile esagerare, ha continuato, mettendo sulla pizza 4 o 5 eccellenze, in cui una copre l’altra; meglio un solo prodotto d’eccellenza e degli ottimi comprimari, che si bilancino tra loro. 3. Vietato strafare, in tutti i sensi.
Massimo Bosco ha esordito dicendo che si sente un partigiano ed operaio della pizza, perché bisogna studiare, crescere e il 4. bravo pizzaiolo studia (5) sempre, e opta per la 5. semplicità.
Stefano Pibi da bravo lievitista ha sottolineato come uno dei segreti della buona pizza e della pizza buona sta nel 6. lavorare la pasta nel tempo giusto. È il fattore tempo di lievitazione che permette alla pasta lievitata di diventare digeribile, leggera, soffice, insomma di essere quella pizza che soddisfa, non rimane sullo stomaco, che sazia senza appesantire, senza stufare. La prova pizza, ha affermato, si fa con una pizza semplice, tipo una marinara. Se si va a mangiare da un maestro pizzaiolo, basta assaggiare una sua semplice pizza marinara e si capisce tutto: l’arte che c’è alle spalle e la sua professionalità. Ancora Semplicità è la parola chiave.
Giovanni Fais ha elencato le tre qualità del bravo maestro pizzaiolo: 7. onestà, correttezza e passione. Ha poi parlato della 8. tensione etica che deve avere il pizzaiolo, ad esempio nel rifiutarsi di usare nella pizza ingredienti non sostenibili, o inserire prodotti vegetali o animali a rischio di estinzione.
La qualità dipende dagli ingredienti e dagli abbinamenti giusti, ha aggiunto, e 9. bisogna lavorare con i prodotti e produttori locali delle varie materie prime indirizzandoli alla qualità. Un lavoro quindi, per sintetizzare, che supera il semplice mestiere e diventa una missione e una passione.
La mia seconda domanda era altrettanto piana in apparenza, ma difficile al tempo stesso: “cosa si può fare per la pizza di qualità?” Gabriele Valdès ha elencato tre punti: confrontarsi con gli altri professionisti, migliorare il prodotto con studio continuo e creare qualcosa di tipico.
Massimo Bosco ha sottolineato il fatto che più che parlare di “pizza sarda” è meglio parlare di “professionisti sardi per la pizza”; provocatoriamente ha detto che sarebbe più orgoglioso di sentir dire che “quella (ottima) pizza è stata fatta da un sardo”, piuttosto che “quella pizza è sarda”. Mettere al centro quindi le conoscenze e le competenze locali per alzare l’asticella della qualità, è la nostra conclusione.
Pibi si è detto perfettamente d’accordo: “il pizzaiolo è sardo, non la pizza” e ha introdotto il concetto di 10. formazione: sia formazione per i pizzaioli, per far aumentare i sardi che fanno la pizza buona sia 11. formazione per i consumatori, che spesso non hanno la capacità di riconoscere una buona pizza o un’ottima pizza da una mediocre. Bosco si è detto d’accordo. L’educazione alimentare quindi, tra le buone pratiche da attivare perché il comparto si rinnovi e si migliori, grazie anche alla consapevolezza dei consumatori.
Giovanni Fais ha concluso dicendo che la 12. pizza va portata a tavola al cliente accompagnata dalla storia e cultura dei prodotti di cui è composta, perché può essere un prodotto fatto bene, in una buona pizzeria, può essere di grande fascino e richiamo, anzi un vero e proprio attrattore turistico, aggiungo: certe pizzerie a Napoli costituiscono delle destinazioni turistiche, ammantate come sono di storia, cultura, folklore e tipicità.
In effetti le particolarità e i caratteri distintivi di certi ingredienti sono il valore aggiunto di alcune pizze e le rendono speciali agli occhi del consumatore, aggiungo.
Ancora Fais ha concluso dicendo che il comparto enogastronomico deve accompagnarsi al turismo e all’artigianato di qualità per fare sistema e fare buona economia locale.
Sì, ne sono convintissima, lo sviluppo locale si può fare anche partendo da un semplice disco di pasta condito da salsa di pomodoro, e altri ingredienti: l’interessante posizione raggiunta dalla Sardegna nel settore della pizza va tesaurizzato e messo a sistema; del resto in Sardegna esistono molte realtà promettenti, tra cui cito almeno la pizzeria gourmet dello chef Luigi Pomata, Next, e la pizzeria d’autore, dello chef stellato Roberto Petza, Sa scolla. Inoltre nei paesi del Campidano, della Marmilla e della Trexenta, zone rurali, un tempo granaio dell’antica Roma, vi sono locali che propongono pizze puntando sul grano duro locale, sui pomodori a km zero e sui favolosi pecorini sardi, prodotti dai caseifici vicini: quasi delle agripizzerie. Un settore che si sta finalmente rinnovando, dopo anni di calma piatta e speriamo che questo Focus abbia contribuito a creare un dibattito coinvolgente per la categoria e anche per i consumatori di questo monumento della cultura gastronomica italiana.