In un passato contraddistinto da ristrettezze e penuria alimentare, i toscani hanno dimostrato di saper trasformare la scarsa materia prima a disposizione in veri e propri capolavori della tavola: così sono nati tanti celebri piatti toscani, oggi conosciuti in tutto il mondo.
L’autrice Maria Concetta Salemi, con piglio antropologico e sguardo gastronomico, ci conduce in un gustoso viaggio nella cosiddetta “cucina povera” toscana, prendendo le mosse dalla geografia del territorio, con le sue tante subregioni, ciascuna caratterizzata da una peculiare cultura alimentare e da ricette uniche (1 - 2 - 3).
E quali sono queste subregioni, in parte da riscoprire per il loro straordinario patrimonio gastronomico? La Maremma, l’Elba, Il litorale Apuano, la Versilia, la costa pisana e livornese, la Lunigiana, la Garfagnana, il Pistoiese, il contado fiorentino, il Casentino, il Chianti, il Senese e la Valdichiana.
Le ricette, con la puntuale descrizione di ingredienti e preparazione sono accompagnate ove possibile dalla spiegazione di origine ed etimologia, varianti storiche e legate al territorio.
Le pietanze sono raggruppate nell’indice in gruppi secondo le materie prime, a cominciare dal pane, ingrediente principe della cucina “povera” toscana di un tempo (4), attraverso quel piatto togli fame che è l’acquacotta, con le sue numerose varianti stagionali e legate alla territorialità. E poi le zuppe, di terra e di mare, le pappe, tra cui la celeberrima “pappa con il pomodoro”.
In questo la Toscana assomiglia tanto alla sua quasi dirimpettaia Sardegna, con suggestioni che sicuramente risentono di un passato comune nel Medioevo e della vicinanza geografica. E ancora i pani di materie prime alternative al grano, come quello di castagne, qui il richiamo all’albero del pane, come si chiama in Corsica il castagno, è imprescindibile.
E ancora le puls, le polentine di latina memoria, altro piatto poverissimo e in comune con la Sardegna, penso alla sua polenta di semola (simbula frita), polente che i toscani declinano con la farina di castagne e di ceci, fratelli in questo alla vicina Liguria, con cui condividono tanti piatti concepiti nelle terre di confine, specie tra la provincia de La Spezia e la vicina Massa. La Salemi si appunta sulle infarinate e in particolare sulle farinate di ceci toscane, dette cecìna, torta o calda calda secondo le località. Farinate che uniscono in un abbraccio Liguria, nord Sardegna (a Sassari la fainè è tipicissima), costa toscana e Sicilia, per dire, inno alla mediterraneità e alla sua dieta.
Sul versante delle carni le ricette si incentrano su avanzi, ritagli e naturalmente quinto quarto. Dimenticata la Fiorentina dell’opulento presente, le ricette si concentrano sull’umido di interiora di pollo, sulla ricetta del cuore, sul collo di pollo ripieno, sui granelli fritti, sulle centopelli e molte altre ancora. Non mancano le ricette con il sangue, oggi tabuizzato, un tempo materia prima preziosa e largamente utilizzata in tutte le regioni italiane, poi sostituita con il cacao in tante ricette tradizionali. Dai migliacci ai roventini, entrambi a base di sangue di maiale, sino agli insaccati con il sangue, chiamati secondo le località in modo diverso e caratteristici di Versilia, Lucchesia, Garfagnana e Massese: biroldo, buristo, burischio, mallegato, bardiccio ed altri nomi ancora.
Ancora una volta le ricette affratellano altre culture alimentari tirreniche e oltre: dalla ligure alla corsa, alla sarda, dove nulla dell’animale andava sprecato e ogni sua parte poteva diventare, con pochi ingredienti ed accorgimenti, gustosa pietanza.
E ancora la Salemi con sicurezza enuncia alcune ricette di mare, ad esempio con i pesciolini liscosi sul fondo delle reti, fritti e poi messi sott’aceto, come si fa in tante località italiane, e in Sardegna si chiamano pisci a scabecciu.
Non mancano ovviamente le minestre asciutte e in brodo, gli stufati di verdure, le torte salate tra cui la mitica bacciocca (patrimonio condiviso con la Liguria) a base di umili patate, e le ricette con le umili e versatili uova, che hanno sostentato generazioni di contadini!
In modo assolutamente filologicamente corretto il “dolce” compare qua e là, per caso e parcamente, perché il dessert era un piatto festivo, ricco e costoso; quando vi compare il dolce è con materie prime quotidiane, come la pasta di pane, addolcite con un poco di zucchero e poco più.
Un solo esempio, per amore di brevità, sono le frittelle, preparate con farina di castagne, un poco di zucchero, olio “buono” e un pizzico di sale. Preparata la pastella con gli ingredienti summenzionati e lasciata riposare per circa un’ora in luogo tiepido si procede così: “Scaldare un velo d’olio (in antico di strutto) in una padella e friggerla versandola a cucchiaiate. Asciugato il grasso in eccesso, le frittelle si mangiano caldissime spolverate di zucchero”.
Il volume è il settimo di una preziosa collana intitolata “La Cuccagna | La ricerca della felicità in cucina”, che vede tanti titoli interessanti, tra cui un altro saggio della Salemi, Mangiare nel Medioevo.
L’autrice è nata a Palermo ma vive praticamente da sempre a Firenze, dove si è laureata, vive e lavora occupandosi di cultura del cibo, attraverso corsi, libri e traduzioni. È autrice di numerose pubblicazioni sin dalla fine degli anni ’80, esperienze che si riflettono nella solidità e complessità del libro, ricco di spunti di riflessione oltre che di ricette.
Un vero e proprio manuale di cultura gastronomica toscana ma al tempo stesso, ci pare, anche una poesia d’amore verso quella che è diventata la terra d’adozione dell’autrice, di cui è profonda e appassionata conoscitrice.
Maria Concetta Salemi
Poveri toscani! L’arte (e il genio) di trasformare la scarsità in ricette straordinarie
Sarnus, 2020
Pagine: 144
Collana: La Cuccagna | La ricerca della felicità in cucina
Prezzo: 12 €