Living & Convivi :: 6 feb 2017

L'Italia un Paese la cui voce si fa sentire nei palazzi internazionali

l'opinione dell'ambasciatore paolo Spinelli

Incontro con l'Ambasciatore d'Italia Paolo Spinelli (1), grande diplomatico che annovera nel suo background molteplici esperienze da Bruxelles a vari Paesi africani (2), alla mittel Europa. Diversi i temi affrontati: dal quadro "ottimistico" del Bel Paese in seno all’Ue - anche in considerazione delle prossime importanti scadenze elettorali di Francia e Germania - fino all'Africa (3), Continente dalle grandi potenzialità, la cui crescita è in parte sotto la responsabilità di ogni Paese. Nessuno escluso.

Ambasciatore, l’abitudine casalinga di “piangerci addosso” trova una giustificazione attuale in ambito internazionale?

L’Italia è così bistrattata in campo internazionale da avere motivi per piangersi addosso? Io credo ci siano ragioni concrete che la portino, invece, ad essere considerata una potenza di medio livello. Deve, quindi, sentirsi soddisfatta. Detto questo, considerato che i nostri teatri di operazione più importanti e interessanti sono l’Europa e il Mediterraneo, siamo da sempre animati dal desiderio di "espanderci", facendo sentire la nostra voce nei consessi internazionali. Un Paese, il nostro, che non ha mai smesso di essere in prima linea, già dal suo ingresso nelle Nazione Unite e attivo in tutti le operazioni della Nato, nonostante le esigue forze armate. Dal 1 gennaio del 2017, inoltre, siamo membri del Consiglio di Sicurezza. E ciò testimonia il credito di cui godiamo all’estero. Ancora… Attualmente l’alto Commissario dell’Onu per i rifugiati è il diplomatico Filippo Grandi, un italiano. A livello bilaterale ci rispettano fondamentalmente per due motivi: l'indubbia tradizione culturale e artistica e la grande carica di umanità. E' così: sappiamo “saper stare al mondo” e abbiamo un notevole senso di civiltà.

Nelle sue esperienze europee ha potuto notare, negli ultimi anni, un cambiamento nel prestigio di cui gode il nostro Paese?

L’Italia che fino a trent’anni fa (quando il peso della sconfitta bellica era ancora forte) poteva essere percepita poco come presenza significativa all’estero, ora non esiste più. Va sottolineato, per esempio che siamo uno dei maggiori fornitori di truppe per le operazioni di pace per la Nazioni Unite. Insomma, facciamo la nostra parte. E bene.

La sua esperienze in Paesi africani, oggi alla ribalta anche per gli investimenti agroalimentari cinesi, la porta ad una valutazione di prospettiva diversa nell’asse internazionale, specie dopo il recente fallimento Ue-Usa?

L'Africa è l’ultimo continente non ancora sviluppato, a differenza invece dell'Asia e dell'Est in genere o dell'America Latina. Ciò ha determinato flussi continui di migranti. A mio avviso non ci vuole molto per farla decollare, anche se si tratta di uno sviluppo certamente lento ed eterogeneo: è un Regione grande e molto dissimile. La così detta Africa nera, per esempio, ha più risorse della parte occidentale che va dal Senegal all'Angola. Bisogna comunque riconoscere che questo esteso Continente ha fatto molti progressi e continua a farne. Ricordo, durante il mio mandato in Senegal, la massa di gente che a Dakar, ogni mattina, si metteva in moto, si risvegliava, affrontando spostamenti e difficoltà…

Come vede la penetrazione dei cinesi in Africa?

È chiaro che i cinesi hanno interesse a espandersi nel resto del globo. Ed è altrettanto evidente che gli aiuti sono sempre ben accetti in Africa. Aiuti, tra l'altro che non sono subordinati all'obbligo di "schierarsi" con loro, come invece imponeva la Russia Sovietica quando si era insediata in Angola. Per ora la Cina "fa del bene" al Continente, non è una minaccia. Ha anche riempito un vuoto determinato dall'Europa e dagli Stati Uniti. E, comunque, anche l'Italia ha fatto il "suo", intervenendo in Senegal. Abbiamo, infatti, incentivato l'agricoltura e creato banche cooperative. Certo, é importante che tutti i Paesi siano coesi nello sforzo di far fare un salto di mentalità importante agli africani. Un esempio? l'idea del risparmio, una delle leve certamente rilevanti per il progresso capitalistico. Per noi è un principio abbastanza ovvio. Per gli africani, invece, non lo è affatto.

Infine, bisogna anche essere fiduciosi: non penso che in un mondo così globalizzato, un territorio come l’Africa, seppur "problematico", sia destinato a essere sottosviluppato ancora per molto tempo. Spero, alla fine, a una sorta di osmosi, dove la Cina possa contribuire positivamente in tutto questo. Bisognerebbe, poi, destinare una quota di risorse più cospicue a livello europeo..

Nella sua notevole esperienza diplomatica di quale Paese ha ricordi più significativi?

Sono stato fortunato, in tutti i Paesi del mio mandato mi sono trovato bene: insieme a mia moglie Rosella, abbiamo tanti ricordi magnifici di persone che ci sono tutt'ora care. L'Ungheria (4 - Budapest), ad esempio. Un Paese dove l'Italia è amata, stimata, molto più di altre nazioni. Con loro, condividiamo alcuni momenti storici, come il comune risorgimento nei confronti dell'Austria ma anche altri aspetti puramente mentali e di pensiero. E' un Paese che ha poche risorse naturali, ma dove la gente si dà da fare e ama la vita, la cultura e il divertimento. Anche l'Irlanda ci è rimasta molto nel cuore. Erano gli anni 70', un'Irlanda un po’ diversa. Era un popolo povero, ma profondamente ricco d’animo. Sul piano dell’umanità anche il Senegal mi ha molto toccato.

Un aneddoto particolare nella sua carriera, specialmente settore enogastronomico…

Francamente non ho mai riscontrato situazione "strane" o comunque lontane dalle nostre abitudini culinarie, anzi… in Senegal, per esempio, c'è un’alimentazione simile alla nostra. La specialità è il pollo con il riso, oppure tanta verdura o pesce. La cucina ungherese invece contempla moltissima carne, proposta in mille modi diversi. E per noi che da sempre siamo vegetariani, è stato, almeno in principio, un ostacolo non da poco! soprattutto ai ricevimenti ufficiali. Impasse che ho subito risolto non appena ho capito che era sufficiente informare prima i rispettivi padroni di casa. In fondo bastò poco. Gli ungheresi son molto flessibili e ospitali.

Lei è anche un grande esperto di cinema. Come coltiva questo interesse?

Si è vero, coltivo da sempre questa passione, fin da piccino: ho visto tutti i film di Totò, di guerra e tutte le commedie italiane. E non ho mai smesso di alimentarla anche quando, durante la mia lunga carriera diplomatica, era più difficoltoso andare al cinema, come in Libia o in Senegal dove capitavano dei "tete a tete" con topolini "curiosi" che potevano disturbare la normale visione della pellicola.

Ma anche in altri Paesi, come in Belgio dove i sottotitoli erano in francese e in fiammingo, occupando metà schermo! Era complesso godersi il film! Ma non demordevo comunque. Anzi, alla fine mi cimentavo a imparare le lingue che non conoscevo. Come in Ungheria, per esempio, mi divertivo a leggere le frasi in lingua originale in sovra impressione. Ma anche in Francia… lì il cinema è veramente cultura. Anche oggi, le sale cinematografiche sono ovunque e la gente le frequenta regolarmente.

Naturalmente, negli anni ho sviluppato un maggior senso critico. E ora sono diventato molto selettivo. Su Facebook ogni settimana condivido sul mio profilo dedicato questo mio interesse, elaborando delle vere e proprie recensioni. Così anche su mio neonato blog.

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