Focus On :: 6 mar 2017

architetti italiani che lasciano il segno

incontro con Pierluigi Molteni

Saper ascoltare persone e committenti per progettare spazi abitativi in maniera sartoriale, tagliati e cuciti a misura delle singole esigenze, lavorare a processi produttivi che non prescindano mai dalla qualità della vita, tra cui l’importanza degli spazi di maggior condivisione, l'amore per le qualità tattili dei materiali, la progettazione come strumento per innovare con responsabilità, infine il Salone del Mobile secondo lui. Questo e molto di più, il pensiero dell’architetto bolognese Pierluigi Molteni (1 - 2).

 

1 - Cosa si aspetta da questo Salone?

Normalmente approfitto del Salone Milanese per incontrare aziende, clienti ed amici legati al mondo dell’interior e del design. E’ un modo per fare il punto della situazione e per scambiarsi impressioni e informazioni. In realtà non mi aspetto nulla di diverso rispetto agli altri anni perché - bene o male - quello che bolle in pentola lo si sa già in anteprima, soprattutto se consideriamo gusti, stili e tendenze (che è la cosa che mi “annoia” di più). Mi piacerebbe, invece, cogliere più riflessioni sulle forme dell’abitare, sempre più nomadi e virtuali, e sulla rivoluzione ormai alle porte - Internet of Things (IOT) - internet degli oggetti - che cambierà radicalmente il nostro modo di interagire con lo spazio e con gli oggetti che lo abitano.

2 - Zona living, nel suo scouting alla scoperta di novità, sa già cosa andrà a cercare?

Di solito vado a toccare con mano i nuovi prodotti delle aziende che investono maggiormente in ricerca, sia formale, sia tipologica. Gli anni scorsi, per esempio, ho trovato decisamente stimolanti gli allestimenti di Moroso e di Baxter, e l’Appartamento Lago al Fuori Salone. Inoltre, sono attento alle proposte dei Paesi del nord: sull’interior, a mio parere, stanno innovando parecchio.

3 - La sua idea di cucina?

Premesso che non sono un cuoco “esemplare”, la mia idea di cucina nasce sia dalla personale esperienza negli anni con diversi committenti, sia dal mio modo di intendere la casa. Mi sento un “sarto” degli spazi abitativi e come ogni buon taylor osservo e ascolto molto chi mi commissiona un progetto. Detto questo, la cucina deve essere una perfetta sintesi di forma e funzione. E’ uno dei pochi ambienti a richiedere performance tecnologiche importanti, oltre a presentarsi, ovviamente, come luogo accogliente e ospitale. Un vero spazio sociale: più che seduti intorno a un tavolo a mangiare, è un’occasione per condividere confidenze, idee… magari, sbucciando i fagiolini o girando il ragù. Recentemente un bel film italiano, “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese ha mostrato molto bene queste dinamiche: la tavola come rappresentazione sociale e la cucina come una sorta di “confessionale” intimo. Sono meccanismi di relazione di cui bisogna tenere conto quando si progetta.

4 - Ci parli in breve di uno suo lavoro recente di progettazione...

Attualmente il mio studio è impegnato su diversi fronti (3). Abbiamo da poco finito l’allestimento della Mostra su Corto Maltese a Bologna. C’è in corso la progettazione di un prodotto per un' azienda specializzata nei rivestimenti ceramici; inoltre, per un'altra realtà imprenditoriale, stiamo lavorando sugli allestimenti per il prossimo Coverings a Orlando, in Florida (4), il più grande evento dedicato al mondo della ceramica che si apre all’inizio di aprile. Parlando di privati… una villa a Jeddah (Arabia Saudita) per un committente arabo, una villa in legno (materiale in cui credo molto) nelle vicinanze di Bologna per una giovane coppia amante della campagna. Ancora… un intervento che mi sta particolarmente a cuore riguarda un progetto che prevede la sostituzione di una villa degli anni ’30 - penalizzata da grossi problemi statici - con una nuova costruzione di cui ci stiamo, appunto, occupando. Il lotto ha mille vincoli ma si trova in una delle zone più belle di Bologna. E’ una sfida progettuale interessante poter sostituire il vecchio con un edificio che colga le qualità insediative della dimensione preesistente, reinterpretandole in chiave contemporanea e tecnologica, visto che il nuovo immobile, tutto in xlam (pannelli in legno multistrato), avrà performance tecniche ed energetiche di assoluto rilievo.

5 - Cosa manca secondo lei nelle case di oggi?

Lo spazio e l’anima. Purtroppo il mercato ritiene tutti quegli spazi che una volta erano di filtro e di connessione come corridoi, ingressi, logge ecc.. superfici inutili. In realtà, davano corpo all’esperienza di una casa, fatta anche di luoghi di attesa e di passaggio. La mancanza d’anima è figlia di una società che non ama aspettare, non pratica più la pazienza che richiede la sedimentazione, un aspetto che conferisce profondità agli ambienti domestici. Si rischia di lavorare per format e soluzioni preconfezionate, perdendo il senso del racconto

6 - Architetti e designer hanno ancora una funzione sociale?

Assolutamente sì. Bisognerebbe finalmente uscire dalla logica perversa conseguente alla figura mitologica dell’Archistar/architetto che ha allontanato quest'ultimo dalla realtà di tutti i giorni, relegandolo a sovrastruttura, lusso e vezzo. Renzo Piano, che è sempre stato un Archistar atipico, ha coniato un termine appropriato quando ha definito l’architetto "condotto”, avvicinandolo al medico capace di ascoltare prima di professare una diagnosi. E' il caso di dirlo: se c’è una cosa di cui hanno disperatamente bisogno le città di oggi sono proprio le progettualità degli architetti, e così la loro capacità di rendere fisici i nuovi modelli sociali ed economici, creando una spazialità "intelligente" e, allo stesso tempo, sostenibile ed accogliente.

 

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